Il 2024 in America Latina: infuria la guerra contro los de abajo

«La guerra ha origine nel linguaggio che usiamo quotidianamente per inquadrarla, per abituarci alla sua violenza, per dare un significato socialmente accettabile alla morte, alla distruzione e all'espropriazione».
Oswaldo Zavala

Per le popolazioni che abitano Abya Yala il 2024 è stato un anno duro, di recrudescenza della guerra capitalista a tutti i livelli contro los de abajo, ma anche un anno di resistenze e lotta per la sopravvivenza. È questo il riassunto di un anno che ha visto los de arriba non solo praticare la guerra contro le popolazioni ma anche disputarsi ferocemente il potere negli appuntamenti elettorali che sempre meno somigliano ad espressioni di democrazia.

In questo clima di guerra diffusa, dove la guerra stessa prende sempre più le sembianze della normalità, le popolazioni si sono organizzate per resistere alla tormenta, costruendo pratiche di lotta e autonomia come alternativa al baratro che avanza inesorabilmente. Di seguito i principali avvenimenti che ho seguito, con un occhio orientato alle piccole e grandi battaglie delle popolazioni in resistenza.

L’anno che volge a conclusione si è aperto con l’annuncio dello stato di guerra interno da parte del neo presidente ecuadoriano Daniel Noboa. Una misura presa come risposta alla drammatica situazione di insicurezza che ha travolto il Paese a causa delle politiche neoliberiste promosse dai precedenti governi di Lenín Moreno e Guillermo Lasso, di cui Noboa è erede.


Pochi giorni dopo, in Guatemala, si è insediato ufficialmente il nuovo presidente Bernardo Árevalo, dopo aver sventato un tentativo di colpo di stato giudiziario organizzato dal “pacto de corruptos” composto da politici e magistrati conservatori, per impedirgli di assumere il potere. Árevalo è diventato il primo presidente progressista dopo molto tempo grazie alla grande mobilitazione popolare che ha difeso il risultato delle urne.


Il 4 febbraio in un contesto di distruzione dello stato di diritto e di costante violazione dei diritti umani, si sono svolte le elezioni presidenziali in El Salvador, con la schiacciante vittoria del presidente in carica Nayib Bukele, il cui partito ha ottenuto 58 dei 60 seggi all’Asamblea. Bukele vince nonostante il divieto al secondo mandato scritto nella Costituzione e nonostante le denunce di brogli espresse dagli avversari e dalla popolazione.


Il 6 febbraio, nel pieno di una gravissima emergenza dovuta agli incendi forestali che hanno colpito la regione di Valparaíso provocando un centinaia di vittime e migliaia di sfollati, arriva la notizia della morte dell’ex Presidente Sebastian Piñera, deceduto in seguito a un incidente in elicottero nei pressi del lago Ranco, nella regione di Los Ríos, nel sud del Cile.


La prima storia di resistenza e lotta per la sopravvivenza desde abajo viene dalle remote isole Chiloé, nel sud del Cile dove, i primi giorni di marzo, la comunità locale in buona parte mapuche, si è vista respingere la petizione che chiedeva la creazione del “Espacio Costero Marino de Pueblos Originarios”, con cui poteva essere riconosciuta l’amministrazione indigena su 621 ettari di territorio costiero. Il respingimento della richiesta è l’ennesimo tradimento di Boric, che gira le spalle alle popolazioni indigene per sostenere i profitti dell’industria “salmonera”.


Sempre i primi giorni di marzo si torna a parlare di Ayotzinapa: stante il silenzio assordante del governo sul caso, i genitori dei ragazzi scomparsi organizzano dieci giorni di presidio permanente nello Zócalo capitolino e gli studenti della Normal una serie di azioni di protesta che, la notte del 6 marzo, portano all’assassinio dello studente Yanqui Kothan Gómez Peralta, ucciso dalla polizia dello Stato del Guerrero nella strada che collega Chilpanchingo a Tixtla.


A fine mese si torna a parlare di Ecuador con un’altra significativa lotta di resistenza e della guerra contro le popolazioni messa in atto dal capitalismo: approfittando anche dello stato di emergenza, il governo invade con i militari i villaggi di Palo Quemado e Las Pampas per permettere l’installazione di un progetto minerario dell’impresa canadese Atico Mining. Il progetto, avvenuto senza la consultazione preventiva scatena la protesta della popolazione del Sigchos che nonostante la brutale repressione del governo riesce comunque a vincere allontanando, almeno momentaneamente il mortale progetto estrattivista.




Aprile è anche il mese dell’incredibile irruzione militare delle forze armate ecuadoriane nell’Ambasciata messicana a Quito. Il motivo è la presenza dell’ex vicepresidente ecuadoriano Jorge Glas, accusato di corruzione, che ha chiesto asilo politico al Messico. La gravissima violazione del diritto internazionale e della sovranità messicana, ha aperto la crisi diplomatica tra Ecuador e Cile.


Primi di maggio, Brasile: piogge devastanti travolgono lo Stato di Rio Grande do Sul per due settimane, causando la parziale rottura della diga “14 do Julho” situata tra i comuni di Cotiporã e Bento Gonçalves. L’inondazione ha conseguenze catastrofiche: almeno 60 persone perdono la vita, 70 i dispersi, 15 gli sfollati e circa 500 mila quelle rimaste senza acqua ed elettricità. Ancora una volta l’estrattivismo rappresentato in questo caso dagli impianti idroelettrici è il responsabile di morte e distruzione.


A fine maggio dall’Argentina arriva una notizia tristissima: Norita ci ha lasciato. Nora Cortiñas è stata un’instancabile attivista per i diritti umani e fondatrice delle Madres de Plaza de Mayo - Línea Fundadora. Da quel giovedì in cui assieme ad altre compagne cominciò a sfidare la dittatura dei generali, non c’è ststa lotta o rivendicazione in Argentina ma anche nel resto del mondo che non ha visto o sentito al proprio fianco questa grande donna, che ora lascia un vuoto difficilmente colmabile.


La prima domenica di giugno il Messico va alle urne in una spirale di violenza inarredtabile. La sfida, almeno simbolicamente è affascinante, a sfidarsi per la prima volta dino due donne e a spuntarla, senza troppe sorprese, è la delfina del presidente uscente Andrés Manuel López Obrador, Claudia Sheinbaum. Ma di simbolico rimane solo questo dal momento che la sua elezione non rappresenta alcuna rivoluzione concreta ma anzi si inserisce nel solco della continuità con l’amministrazione uscente di Morena.


A fine giugno un’altra notizia inaspettata arriva dalla Bolivia con il tentativo di colpo di stato messo in atto da un generale che ha occupato Plaza Murillo a La Paz con ce tinaia di uomini e mezzi blindati. Il tentativo risulterà velleitario ma l’evento sarà il motore per settimane di polemiche. Sull’evento in effetti permangono molti dubbi con gli evisti che hanno accusato gli arcisti di autogolpe e viceversa gli arcisti che hanno accusato il generale golpista di aver agito per conto di Evo Morales.


Inizia la seconda parte dell’anno e dal Cile ancora notizie di repressione verso los de abajo: il governo di Boric ordina lo sgombero di terreni occupati da famiglie bisognose, le perquisizioni di radio e comedor popolari oltre a incentivare arresti e criminalizzazione delle esperienze popolari. È la preoccupante deriva repressiva e autoritaria del governo di Boric, inaspettata e difficile da digerire per chi aveva visto nel governo degli ex leader studenteschi una possibilità di cambiamento nel tessuto economico, sociale e politico del Paese.


Verso la fine del mese di luglio, a poche settimane dalla fine del suo mandato, López Obrador pubblica la sua “verdad histórica” sul caso Ayotzinapa. È il tradimento finale del Presidente ai genitori ai quali aveva promesso che avrebbe risolto il caso, ad ogni costo. E invece, arrivato alle soglie delle caserme, dove è nascosta - neanche tanto - la verità, ha preferito proteggere e schierarsi con l’Esercito e non solo abbandonare i genitori ma anche di cercare di comprarli, dividerli, criminalizzarli.


Pochi giorni arriva la lapidaria risposta unitaria del Comitato dei Genitori: «ci haimentito, tradito, ingannato». I genitori ricordano poi al Presidente che le sue menzogne sono solo supposizioni che non si basano sui fatti appurati dalle indagini ufficiali e dalle contro inchieste del GIEI che hanno provato la partecipazione attiva dell’esercito nella sparizione forzata dei ragazzi. Infine, concludono ricordando ad AMLO che le vittime sono loro e non lui.


Un appuntamento certamente importante anche se non è seguito da un articolo, è quello del 28 luglio in Venezuela quando si sono svolte le elezioni presidenziali. All’appuntamento elettorale si è arrivati dopo mille polemiche, con Maduro che ha eliminato giuridicamente i principali candidati dell’opposizione di destra e con l’altra polemica relativa agli osservatori internazionali che il regime di Maduro ha selezionato a piacere. Tuttavia, mai come questa volta il risultato è apparso incerto, con la destra unita nella figura di Edmundo Gonzáles (ex CIA) che già si pregustava il clamoroso ribaltamento.

Non è andata così, il tribunale elettorale ha dichiarato presidente Maduro senza tuttavia presentare i dati relativi allo spoglio, mentre l’opposizione dichiarava presidente Gonzáles e gridava ai brogli. Sono sorte così grandi manifestazioni in tutto il Paese, guidate certamente dalla destra ma con un sentimento popolare di dissenso diffuso. Dissenso che Maduro ha soffocato con una durissima repressione, incarcerando centinaia di manifestanti e costringendo all’esilio Gonzáles.

E arriviamo a settembre. E in Chiapas, dove esplode mediaticamente la drammatica situazione di guerra subita dalle popolazione indigene e non che abitano quelle bellissime e ribelli terre del sud est messicano. Benemérito de las Americas, per esempio, è stato teatro di una drammatica sparatoria contro una clinica privata e alcune abitazioni situate nei pressi di una scuola materna.


La drammatica situazione che vive il Chiapas mi fa ritornare alla mente tutti i viaggi in quelle terre: sono passati oltre 20 anni dalla prima volta che sono stato in Chiapas e sette dall’ultima. In questi anni, di ritorno dai miei viaggi ho sempre riportato indietro e “raccontato” cartoline di un luogo da sogno che mi ha lasciato un segno indelebile non solo per l’incredibile esperienza vissuta nelle comunità zapatiste, ma anche per la straordinarietà di un territorio ricchissimo di cultura, di umanità, di storia, e di bellezze naturali. Un territorio che più di una volta non ho esitato a definire la mia seconda casa.


A settembre, dopo Piñera, se ne va un altro genocida: la notte dell’11 settembre all’età di 86 anni l’ex dittatore peruviano Alberto Fujimori ha lasciato questo mondo, un mondo che con la sua condotta autoritaria, corrotta e violenta, ha contribuito a rendere peggiore, lasciando in eredità le sofferenze e le disuguaglianze imposte con la forza e la crudeltà a migliaia di concittadini peruviani.


Settembre è notoriamente un mese tra i più difficile per quanto riguarda la salvaguardia dell’ambiente: alla stagione secca infatti si uniscono fenomeni come i cambiamenti climatici e soprattutto la devastante attività umana estrattivista che provocano ogni anno incendi incontrollati e incontrollabili. Anche il 2024 non è esente da questo drammatico problema, anzi, più degli altri anni, gli incendi boschivi, quasi sempre di origine dolosa, sono i più gravi di sempre e hanno colpito le zone boschive e forestali dell’Amazzonia in Brasile, Perù, Bolivia, Paraguay, Ecuador e Colombia, colpendo naturalmente anche tutte le popolazioni indigene e non che quei territori li vivono.


Il 26 settembre è il decimo anniversario della sparizione forzata dei 43 studenti di Ayotzinapa. Infatti, quella drammatica notte di dieci anni fa a Iguala, nello Stato messicano del Guerrero, la tragica sparizione forzata dei 43 studenti della Escuela Normal Rural Isidro Burgos di Ayotzinapa. Dieci anni e due presidenti più tardi, il caso Ayotzinapa è oggi il simbolo dell’ingiustizia e dell’impunità che lo Stato messicano concede a sé stesso. È simbolo dell’arroganza, della prepotenza, della brutalità e della tirannia del potere.


A metà ottobre dalla Bolivia arriva una “proposta per la vita” e per fermare l’ecocidio: è un referendum popolare non ufficiale organizzato da decine di organizzazioni ambientaliste e sociali che a partire da Cochabamba hanno coinvolto tutto il Paese. In Bolivia, infatti, le molte facce dell’estrattivismo stanno producendo un ecocidio di proporzioni devastanti mentre sullo sfondo le due anime del MAS, evismo e arcismo, battagliano per il potere senza esclusione di colpi bassi, dimenticandosi di quella Pachamama che a proclami dicono di difendere.


A fine ottobre l’ex presidente boliviano Evo Morales denuncia di aver subito un attentato e accusa il governo di Arce di esserne responsabile. Diversa la versione del governo che sostiene una tesi differente: Evo sarebbe scappato da un posto di blocco sparando contro le pattuglie che lo avevano fermato per arrestarlo per le inchieste di violazioni e abusi su minori di cui Morales è accusato. Difficile capire cosa sia successo, quel che è certo è che anche questo evento si può inserire nella faida tra le due anime del MAS, quella “evista” e quella di governo, “arcista”.


Novembre si apre con una notizia che non riguarda direttamente l’America Latina ma che purroppo necessariamente ripercuoterà le sue conseguenze anche su questa parte del continente americano: è l’elezione presidenziale statunitense che vede ritornare al potere Donald Trump dopo quattro anni, un ritorno che minaccia di stravolgere nuovamente gli equilibri continentali e che riapre l’età dell’odio.


Un interessante appuntamento è avvenuto durante le giornate del 29º Vertice Iberoamericano su innovazione, inclusione e sostenibilità: la città di Cuenca in Ecuador ha ospitato anche la “Contra Cumbre de los Pueblos en Resistencia”, per salvare l’Ecuador, e non solo, dall’estrattivismo minerario e da un modello capitalista sempre più estremo che mette in pericolo la sopravvivenza delle popolazioni e degli ecosistemi naturali.


Dicembre è il mese di Archidona, piccolo centro nella provincia di Napo in Ecuador. Il governo di Noboa, nella sua politica di contrasto alla violenza decide di costruire un carcere di massima sicurezza in questa cittadina (tra l’altro in uno dei dipartimenti più sicuri del Paese), senza una consultazione preventiva né uno studio dell’area, ma la popolazione indigena kichwa insorge e blocca l’intera provincia per fermare il progetto carcerario del Presidente. Alla fine di due settimane di proteste e paralizzazione totale, con la solidarietà che comincia ad arrivare anche da fuori provincia, il governo di Noboa è costretto a cedere e annuncia lo spostamento del progetto carcerario in un altro luogo.




Il 2024 si chiude con una bella notizia: subito dopo Natale, le Abuelas de Plaza de Mayo annunciano con gioia il ritrovamento del nipote 138. Una bellissima notizia, non solo per aver ridato dignità e giustizia a un’altra vittima della dittatura ma anche perché avviene in un momento storico molto difficile per l’Argentina, con il presidente fascista Milei che negli ultimi mesi ha attaccato la lotta delle madres e delle abuelas e la memoria collettiva che tanti sacrifici è costata. Un buon auspicio per i tempi bui che, anche per il 2025, si profilano all’orizzonte.
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