È di nuovo sciopero generale a tempo indeterminato in Ecuador. La miccia che ha riacceso la scintilla del “paro nacional” è ancora una volta l’aumento del carburante. Come è successo negli anni scorsi con l’ex presidente Lasso, era il 2022, la decisione di togliere il sussidio al prezzo del diesel, ha scatenato la protesta della popolazione, in particolare quella indigena, che le organizzazioni sociali come la CONAIE hanno trasformato in sciopero generale.
Il Decreto 126 emanato dal governo di Noboa il 12 settembre elimina dunque il sussidio statale sull’acquisto del diesel, una misura che nella pratica significa un aumento del prezzo dello stesso da 1,8 dollari al gallone a 2,8 dollari al gallone. Un dollaro di maggiorazione che fa la differenza soprattutto per quella parte di popolazione più debole, in particolare i piccoli produttori, che si vedono così costretti a rialzare i prezzi dei loro prodotti e perdere in competitività.
Per il governo di Noboa il sussidio al diesel è una misura - si legge nel testo del decreto - «ambientalmente perversa perché fomenta l’uso intensivo di combustibili fossili altamente contaminanti» ed è iniqua perché «regressivo dalla prospettiva redistributiva, dato che beneficia in maggior proporzione i gruppi con maggiori introiti e con alta capacità economica».
Perché dunque la popolazione ecuadoriana, in particolare la CONAIE, si oppone all’eliminazione del sussidio? Una spiegazione di senso la fornisce il compagno e sociologo David Suárez: «i sussidi sui combustibili sono nella mentalità dei cittadini più impoveriti di questo paese, forse come l'unico beneficio tangibile che hanno mai avuto dal famoso boom del petrolio. Non si tratta solo di trasporti economici, ma di una sorta di contratto sociale in cui questo rappresenta l'unico traguardo malridotto che è riuscito a sfuggire a decenni di governi denazionalizzanti e antipopolari. Inoltre, è una misura simbolica perché è stata difesa per decenni con morti, con feriti e con un coraggio molto raro tra gli ecuadoriani».
Se il Decreto 126 è la miccia, l’innesco del paro nacional, il combustibile, sono anche altri fattori importanti: l’aumento dei prezzi e del costo della vita, la crisi nel sistema sanitario, educativo e lavorativo, l’insicurezza senza freno e l’abbandono statale, la minaccia estrattivista e la distruzione ambientale, l’imposizione di consultazioni ambientali e dell’Assemblea Costituente che non risolvono niente e infine l’autoritarismo e la concentrazione del potere nelle mani di Noboa.
Tra i promotori del paro nacional c’è ovviamente la Conaie, la più importante organizzazione indigena del Paese sempre attenta a difendere i diritti di tutta la popolazione per la quale «non è solo il sussidio, è per la vita, la dignità e i diritti». Le loro richieste non sono negoziabili: revoca immediata del Decreto 126, riduzione dell’IVA dal 15% al 12%, fine del modello estrattivista e rispetto delle consultazioni preventive, investimenti urgenti in salute, educazione e sicurezza reale, revoca delle licenze minerarie a Palo Quemado, Quimsacocha e Las Naves, dare seguito alla sentenza sul parco nazionale dello Yasuní e fermare la repressione e la persecuzione contro gli attivisti sociali e la popolazione.
Lo sciopero, iniziato lunedì 22 ha già avuto i suoi forti momenti di tensione. Centro della protesta di questi primi giorni è la città andina di Otávalo, a un centinaio di km dalla capitale Quito. Qui la repressione della polizia contro i blocchi stradali messi in atto dalla popolazione indigena kichwa si sono scatenati subito con brutalità, con decine di feriti e di persone arrestate. Tra queste, 12 manifestanti di Otavalo nelle ore successive all’arresto sono stati trasferiti nel carcere di massima sicurezza di Esmeraldas dove proprio in queste ore è avvenuto un nuovo massacro carcerario.
Tra le rivendicazioni del paro si è aggiunta quindi anche la richiesta di liberazione immediata dei 12 abitanti di Otavalo che, con il trasferimento dentro al carcere di Esmeraldas – che come quasi tutte le carceri in Ecuador è in mano ai gruppi criminali – ora rischiano la vita. Nel suo secondo report datato 24 settembre la Alianza de Derechos Humanos ha già registrato 74 violazioni dei diritti umani, il ferimento di 42 persone e l’arresto di 85 manifestanti, di cui 6 donne e 10 minorenni.
La repressione del governo non è solo nelle strade: sempre la Conaie denuncia la chiusura dei c/c della stessa Conaie, del MICC (Movimiento Indigeno y Campesino de Cotopaxi) e di diversi leader sociali, avvenute senza ordine giudiziario e debito processo e in flagrante violazione del diritto. La persecuzione politica si è abbattuta particolarmente sul MICC (l’organizzazione di riferimento dell’ex presidente Conaie ed ex candidato presidenziale Leonidas Iza), al quale è stato spento il segnale del suo canale TV comunitario.
Arresti e ferimenti dei manifestanti sono avvenuti anche in tante altre città del Paese, a cominciare dalla capitale Quito e passando per Cuenca dove, solo pochi giorni fa oltre 100 mila persone hanno manifestato per difendere il territorio di Quimsacocha dal distruttivo progetto minerario promosso dal governo e dall’impresa canadese Dundee Precious Metals.
Nonostante la brutalità della repressione e della repressione politica, il paro continuerà anche nei prossimi giorni: «condanniamo la prepotenza del governo che incarcera i nostri compagni – rilancia il presidente della Conaie Marlon Vargas - basta tirannia del governo nazionale. Qui dalla Conaie gli diciamo che continuiamo in lotta, ¡que viva el paro nacional!»