La resistenza mapuche tra leggi repressive, sgomberi, violenze e spoliazione delle terre

Dopo mesi di resistenza il Lof Pailako è stato sgomberato. Agli ordini del ministro Patricia Bullrich e sotto lo sguardo del Governatore del Chubut Ignacio Torres decine e decine di automezzi della gendarmeria argentina e della polizia federale si sono presentati la mattina di giovedì 9 gennaio all’ingresso del territorio recuperato dalla comunità mapuche all’interno del Parque Nacional Los Alerces e hanno eseguito l’ordine di sgombero emanato dal giudice Guido Otranto, già noto per aver intralciato le indagini sulla sparizione forzata di Santiago Maldonado. La comunità mapuche, che solo nel 2020 aveva recuperato il territorio, si è ritirata prima di subire l’ennesimo atto repressivo dello Stato argentino.

Lo sgombero del Lof Pailako, situato all’interno del Parque Nacional Los Alerces a 35 km da Esquel nella provincia del Chubut, è avvenuto con uno spiegamento di forze esagerato: almeno 300 i membri delle forze armate mosse per una operazione di sgombero di 20 persone, di famiglie con bambini. Tutte le forze istituzionali si sono adoperate, a cominciare dal Presidente dei Parques Nacionales Argentina Cristian Larsen, per far prevalere gli interessi delle grandi multinazionali sulla pelle dei mapuche con la retorica della necessità di cacciare gli usurpatori e “riconsegnare” il territorio a tutti gli argentini. Lo sgombero è potuto avvenire grazie alla sentenza del giudice Guido Otranto che, basandosi sulla legge 22.351 scritta durante la dittatura militare, criminalizza gli "intrusi" che utilizzano le strutture dei parchi nazionali e ne autorizza lo sfratto.

Quello del Lof Pailako è quindi solo l’ultimo dei tanti atti di aggressione e repressione che le comunità mapuche stanno subendo, da una e dall’altra parte della Cordigliera delle Ande, in quel vastissimo territorio che le stesse comunità originarie chiamano Wallmapu e che è stato conquistato e colonizzato a partire dal XIX secolo con le campagne di “Pacificación de la Araucanía” nel versante cileno (Ngulumapu) e di “Conquista del desierto” nel versante argentino (Puelmapu). Ancora oggi, gli effetti nefasti di tale colonizzazione si ripercuotono sulle popolazioni originarie, a cui vengono negati i diritti a risiedere nelle terre occupate dai loro antenati e all’autonomia.

Il caso della comunità mapuche del Lof Pailako è emblematico in questo senso: come racconta Laura Taffetani della Gremial de Abogados y Abogadas de Argentina intervistata da Adriana Meyer su Pagina 12, «l'intolleranza dello Stato argentino è evidenziata dal fatto che non è disposto ad applicare la Riforma Costituzionale in cui è stato riconosciuto che i popoli originari sono preesistenti allo Stato nazionale». Scrive infatti sempre la Meyer che un rapporto antropologico «preparato dall'Istituto di Ricerca sulla Diversità Culturale e sui Processi di Cambiamento, l'Università Nazionale di Río Negro, il CONICET e la Scuola di Antropologia e Etnografia Museale, Università di Oxford - ha dimostrato l’ancestralità nel territorio di diverse famiglie che compongono il Lof Pailako, fino ad almeno quattro generazioni fa, comprendendo il periodo precedente alla formazione dell'attuale Amministrazione dei Parchi Nazionali».

La vicenda del Lof Pailako si inserisce nella strategia del governo di Milei di sradicare con la forza ogni tipo di opposizione sociale e lasciare campo libero all’estrattivismo più selvaggio. Il governo ha innanzitutto svuotato l’Instituto Nacional de Asuntos Indígenas, poi ha proseguito il suo attacco sciogliendo il Registro Nacional de Comunidades Indígenas, la cui funzione era quella di registrare i popoli preesistenti in un'indagine nazionale, e infine proprio pochi giorni fa il governo ha abrogato per decreto la legge 26.160, denominata Ley de Emergencia Territorial Indígena, che impediva gli sfratti delle comunità indigene. Si tratta di una legge che dichiara l’emergenza territoriale delle comunità indigene e sospende l’esecuzione di sentenze, atti procedurali o amministrativi il cui oggetto è lo sfratto o lo sgombero. Nel decreto, il Potere Esecutivo sostiene infatti «l'irragionevole prolungamento della misura di emergenza e i diversi effetti che ciò produce, sia al diritto di proprietà che al dominio delle risorse naturali delle province».

L’obiettivo del governo argentino è quello di imporre un nuovo Regime de Incentivo para Grandes Inversiones (RIGI), politica le cui origini risalgono al programma di José Alfredo Martínez de Hoz, ministro dell'Economia durante la dittatura militare. Come scrive Horacio Machado Aráoz sul portale Agencia Tierra Viva «il RIGI approfondisce una traiettoria di riconfigurazione oligarchica della società argentina, sotto l'imposizione di un modello primario-esportatore dominato dal capitale transnazionale, sotto la logica della redditività finanziaria globale. Con questo modello, il Paese ha seguito un percorso di regressione economica cronica, impoverimento e degrado socio-ambientale, deterioramento politico sistematico e approfondimento della dipendenza strutturale.

Nel quadro della spirale estrattivista seguita dall'economia argentina dalla dittatura ai giorni nostri, il RIGI rappresenta un salto di scala estremo e sconsiderato. A causa dell'entità dei privilegi che concede ai grandi investitori e del correlativo smantellamento delle garanzie e dei diritti che comporta per la società nel suo complesso, mette a rischio l'integrità stessa e la vitalità ecologica e geopolitica del paese […]. La protezione dei privilegi degli "investitori" - conclude Machado Aráoz - ha come contropartita lo smantellamento dei più elementari diritti costituzionali. Siamo di fronte a un nuovo regime politico de facto, che subordina la cittadinanza all'impero dell’investitore».

Se nel Puelmapu la situazione è grave, non va affatto meglio nel Ngulumapu, la parte cilena dell’esteso territorio ancestrale mapuche, nonostante al governo ci sia il progressista Gabriel Boric. Fin dall’inizio del suo mandato, infatti, l’ex rappresentante studentesco diventato Presidente grazie alla propulsione dell’estallido social del 2019, ha dimostrato un’inquietante continuità di azioni con il governo neoliberista del defunto Piñera. A pochi mesi dal suo insediamento, infatti, ha ceduto all’agenda della destra cilena, confermando lo stato d’emergenza nell’Araucanía e nel Bío Bío e militarizzando il territorio per «garantire la sicurezza dei cittadini».

Lo stato d’emergenza riconfermato più volte dal governo, è stato contestato dalle organizzazioni mapuche perché ha significato un incremento della militarizzazione in tutti i territori del Ngulumapu. Questa linea politica non accenna a cambiare e anzi, nelle ultime settimane, il governo ha addirittura acquistato e messo a disposizione delle forze armate delle regioni dell’Araucanía e del Bío Bío due droni costati quasi sette milioni di dollari. Questa strategia privilegia la tutela degli interessi delle grandi aziende forestali e dei proprietari terrieri, a discapito delle legittime richieste delle comunità Mapuche.

La risposta del governo “progressista” ai recuperi territoriali, ai sabotaggi e alle rivendicazioni dei mapuche non si è fermata qua: ad aggravare la situazione anche la criminalizzazione dei movimenti indigeni, il cui caso più eclatante è senza dubbio la detenzione di Héctor Llaitul, portavoce della CAM (Coordinadora Arauco Malleco), un’organizzazione che attraverso azioni di sabotaggio delle imprese forestali rivendica i territori usurpati dai winka (cileni). Héctor Llaitul è stato condannato nel maggio 2024 a 23 anni di carcere per i reati di usurpazione violenta, furto e aggressione contro l'autorità e come ha dichiarato lui stesso «sulla base della legge sulla Sicurezza dello Stato, che è una legge a orientamento politico, perfezionata e ampiamente utilizzata dalla dittatura di Pinochet, che veniva utilizzata per perseguitare gli oppositori».

Ma Héctor Llaitul purtroppo non è solo: «è con questo governo - denuncia dal carcere lo stesso Llaitul in questa intervista - che si sono registrati il maggior numero di prigionieri politici mapuche in tutta la storia del conflitto tra lo Stato cileno e il popolo mapuche. Siamo più di 100 i membri della comunità detenuti nelle diverse carceri dello Stato cileno, molti dei quali senza il riconoscimento dello status di perseguitati politici e con violazione dei diritti culturali che ci sono dovuti in quanto membri di un popolo originario, anche trasgredendo le norme internazionali che lo stesso Stato cileno ha sottoscritto, come la Convenzione 169 della OIT (Organizzazione Internazionale del Lavoro), ma che non vengono rispettate da questo governo».

Nel conflitto coi mapuche il governo Boric non ha usato solo la repressione, ma anche e soprattutto lo strumento legislativo: in questo senso vanno ricordate innanzitutto le più generali Ley Gatillo Fácil (che stabilisce una legittima difesa privilegiata per le forze armate) e la Ley Antiterroristas, recentemente approvata dal Congresso, che cerca di allinearsi agli standard internazionali aggravando le pene per i reati associati alle organizzazioni terroristiche. Il governo però è anche stato promotore di leggi che colpiscono più direttamente le comunità mapuche, come la Ley de Usurpaciones che permette al governo di sfrattare le comunità mapuche e perseguire i recuperi territoriali autonomi. Da segnalare infine anche il tentativo fallito di sospendere la Ley Lafkenche, una legge che regola la creazione degli Espacios Costeros Marinos de Pueblos Originarios (ECMPO), il cui scopo è quello di proteggere le tradizioni (uso consuetudinario) e l'accesso alle risorse costiere per le comunità indigene, ma che preoccupa le élite economiche perché paralizza gli investimenti, in particolare la fiorente industria “salmonera” nell’arcipelago di Chiloé.

Sono queste le motivazioni che hanno spinto l’associazione Ya basta! Êdî bese! ad organizzare una nuova carovana nel Puelmapu per la fine di gennaio. Si legge nel comunicato di lancio: «attraverseremo la Patagonia argentina lungo il Rio Chubut, partendo dalle sorgenti nella Cordigliera delle Ande fino alla foce nell’oceano Atlantico. Un viaggio itinerante, fra comunità mapuche e villaggi che resistono a difesa del fiume e dei territori, durante il quale attraverseremo esperienze di lotta ambientalista e recupero delle terre, dove porteremo la nostra solidarietà internazionalista e disponibilità a condividere la lotta contro il moderno colonialismo».

Un appello alla solidarietà internazionalista che è stato raccolto dall’Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio – APIIDTT, organizzazione indigena messicana che lotta per il territorio e contro le grandi opere progressiste nell’Istmo di Tehuantepec, che parteciperà alla carovana. «Questa partecipazione - scrivono gli attivisti indigeni messicani - fa parte di uno sforzo internazionalista che ha unito diversi movimenti nella lotta per la vita e la protezione dei territori.

Di fronte alla guerra senza quartiere promossa da los de arriba, la solidarietà internazionalista è un aspetto importante che, scrivono ancora i popoli originari dell’istmo ricordando le numerose e partecipate carovane che hanno promosso nei loro territori, «ha permesso di creare ponti tra le lotte locali e globali, promuovendo uno spazio di solidarietà e resistenza contro l’estrattivismo e la spoliazione».
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