È finita come doveva finire, con un fiume di persone che ha bloccato la capitale Madrid, teatro dell’indegno tentativo della Vuelta a España di lavare l’immagine dello Stato di Israele, sporca del sangue di migliaia di innocenti palestinesi. A vincere domenica non è stato un ciclista ma il popolo di Madrid che ha costretto gli organizzatori ad annullare l’ultimo arrivo della terza corsa a tappe di ciclismo più importante del mondo, la Vuelta a España.
Nessun vincitore ufficiale dunque, nessun ciclista potrà fregiarsi della vittoria nella prestigiosa ultima tappa che come di consueto termina a Madrid. E d’altra parte nessuno dei partenti probabilmente se lo sarebbe meritato. Sì, perché in queste tre settimane di gara e di proteste che col passare dei giorni sono cresciute di intensità, nessun ciclista o addetto ai lavori ha speso una parola di comprensione o solidarietà con i manifestanti e quindi col popolo palestinese. Come moderni Ponzio Pilato, tutti i ciclisti se ne sono lavati le mani, rivendicando in primis la “sicurezza” di loro stessi di fronte alle proteste e obbiettando che il loro compito è di correre e non di fare “politica”.
Una distanza siderale con quanto di angosciante e drammatico sta succedendo in Palestina. Carlos Verona, uno dei veterani spagnoli del gruppo non ha perso tempo a prendere le distanze dai manifestanti dopo le prime mobilitazioni attorno alla corsa spagnola: «dobbiamo cercare di mantenere lo sport lontano dalla politica, perché credo che la maggior parte di noi qui non sia venuta a parlare di politica né ad affrontare questi temi, quello che vogliamo è goderci lo sport, dare il nostro 100% e rendere questo [mondo] un posto migliore» è l’estratto di una intervista all’arrivo di Bilbao.
Sulla graticola è finito anche Pedro Delgado, ex ciclista degli anni ’80 e ’90 capace di vincere tra le altre corse anche un Tour de France oltre a due Vuelta, per un commento ignobilmente ironico alla ripresa della corsa dopo la prima protesta: «ecco, il problema tra Israele e Palestina è risolto» ha sentenziato, evidenziando una pochezza d’animo inversamente proporzionale alla grandezza del corridore che è stato.
Tutti però omettono consapevolmente una cosa importante: se fosse vero che sport e politica non devono mischiarsi mai, in mezzo al gruppo non ci dovrebbe essere la squadra Israel Premier Tech, definita dallo stesso comproprietario «un’iniziativa pubblicitaria mondiale per avvicinare le persone alla causa israeliana». Ed è per questo che migliaia di spagnoli, baschi, galiziani tra gli altri, si sono messi di traverso al passaggio dei ciclisti: la Israel, proprio perché strumento della propaganda israeliana andava espulsa dalla corsa, perché un’importante corsa come quella spagnola non può rendersi complice della propaganda di uno Stato che sta mettendo in pratica il genocidio del popolo palestinese.
Non è la prima volta che lo sport si rende complice di poteri criminali e strumento della loro propaganda: senza scomodare le Olimpiadi del 1936 nella Germania nazista, la Coppa Davis del 1976 nel Cile del dittatore Pinochet o i Mondiali di calcio del 1978 nell’Argentina dei generali assassini, va ricordato il Giro d’Italia del 2018 che gli organizzatori hanno deciso di “vendere” (pare per 27 milioni di euro) a Israele costruendo una illogica e innaturale partenza da Gerusalemme Ovest. Anche allora vi fu una forte pressione popolare di protesta che tuttavia non riuscì ad evitare il lavaggio dell’immagine di Israele da parte del Giro d’Italia.
Tornando alla Vuelta, prima dell’arrivo di Madrid di domenica, almeno tre sono stati gli eventi eclatanti che hanno sconvolto la corsa. A Bilbao, nel País Vasco, migliaia di attivisti per la prima volta hanno costretto gli organizzatori ad annullare la tappa per l’imponente presenza di manifestanti sul rettilineo d’arrivo.
Anche sul temutissimo Alto de Angliru, una delle montagne più importanti ai fini della classifica, un gruppo di manifestanti si è incatenato al guard rail bloccando momentaneamente il passaggio della testa del gruppo ai meno dodici km all’arrivo. Il solerte arrivo delle forze dell’ordine ha permesso lo sgombero del blocco – con l’arresto di 12 manifestanti - e la conclusione della tappa.
Infine anche nell’altro arrivo in salita di Mos in Galizia gli organizzatori sono stati costretti a spostare lo striscione d’arrivo 8 km prima del previsto per l’imponente mobilitazione di attiviste e attivisti galiziani accorsi in massa a gridare ¡Stop al genocidio!
Quanto è successo domenica 14 settembre all’arrivo dell’ultima tappa invece lo racconta Rossana, cittadina italiana residente Madrid e solidale con la causa palestinese: «già ieri, all’arrivo nella Comunidad Autónoma de Madrid avevano dovuto cambiare il percorso in due punti per le proteste. Oggi era previsto l’arrivo sulle sei ad Atocha ma già in altri due punti di periferia avevano dovuto cambiare di nuovo il percorso. Quando i ciclisti sono arrivati all’altezza del Palacio Real il gruppo si è dovuto fermare perché i manifestanti avevano buttato in mezzo alla strada tutte le transenne.
Lo stesso è successo in Gran Vía e poi al Museo del Prado dove mi trovavo. Nel momento in cui il gruppo è arrivato al Palacio Real era chiaro che la Vuelta sarebbe stata fermata per i tanti blocchi attivi. Anche nella zona dove mi trovavo abbiamo cominciato a buttar giù le transenne e a occupare la strada, la polizia ha cominciato a manganellare a destra e a manca e a lanciare gas lacrimogeni, ma solo in quel punto lì mentre la maggioranza del corteo si era già rimessa in moto in direzione del Ayuntamiento, il municipio, dove era previsto il concentramento finale.
C’era un fiume di gente, una strada a sei corsie con una corsia pedonale nel centro, dove solitamente passano le manifestazioni completamente occupata dai manifestanti, pienissima di gente. Gli scontri più duri sono avvenuti nella zona di Gran Vía e vicino a Plaza Cibeles dove la polizia ha lanciato lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Ad un certo punto è comparso anche un gruppo di sionisti che appoggiava la squadra israeliana ma in poco tempo sono stati scortati e allontanati dalla polizia.
Il sindaco e la governatrice hanno detto che è una vergogna e che è finita nel peggiore dei modi. Ci sono stati momenti di tensione sia perché era pieno di camionette della polizia e della Guardia Civil (ho visto addirittura due carri armati), sia per il fiume di gente che non ti faceva capire cosa stesse succedendo. Ma abbiamo respirato una bella atmosfera alla fine, dicono che c’erano migliaia di persone, veramente tanta ma tanta gente».
Anche dopo la conclusione delle premiazioni, le persone hanno continuato a rimanere in strada: « ho visto che mezz’ora fa hanno caricato di nuovo per disperdere la gente che era ancora lì e si sono portati via altri 5/6 ragazzi», mi scrive ancora Rossana verso sera. Una mobilitazione impressionante, una boccata di ossigeno importante, dal basso, di fronte all’impotenza, all’inerzia e alla complicità dei governi.
A Madrid la Vuelta e tutto il carrozzone ipocrita del ciclismo hanno avuto ciò che si sono meritati: un sanzionamento dal basso eticamente giusto e necessario per chi chiude gli occhi di fronte a un genocidio, per chi è insensibile alla sofferenza, per chi lava l’immagine di uno Stato criminale e si rende complice dei suoi crimini. A Madrid la tappa l’hanno vinta i suoi cittadini, l’ha vinta la solidarietà internazionale, l’ha vinta l’idea e la speranza di un mondo senza guerre e senza oppressione. A Madrid ha vinto la Palestina. Con l’aiuto di tutte e tutti, ce la si può fare a fermare l'orrore.
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