Aspettando la Gira zapatista

Ancora non ci credo. Poche ore e gli zapatisti saranno qui. Qui, al Rivolta, nel centro sociale che mi ha visto crescere, lottare e sognare. Qui, a fianco di vecchi compagni di mille battaglie e a nuovi compagni di cui a malapena ricordo il nome. Guardo fuori dalla finestra dell’osteria, il Rivolta è pronto, come sempre quando organizziamo grandi eventi. Sulla rete che separa il centro di accoglienza dal resto del centro sociale, sono appesi due striscioni che daranno il benvenuto alle compagne e ai compagni indigeni: “bienvenid@s compas zapatistas” e “Bae per sempre”.

Il Rivolta è sempre stato zapatista. Ricordo che per molti anni dietro al palco campeggiava l’imponente scritta “rivolta zapatista”. Nel 1997 o giù di lì, il centro sociale fu teatro di un meeting internazionale nel quale partecipò anche una delegazione zapatista. Era la prima volta di uno zapatista in Italia. L’incontro con la rebeldía zapatista fu determinante per la nostra comunità e le suggestioni che arrivarono dalla Selva Lacandona influenzarono in maniera fondamentale il nostro modo di fare politica. Ricordo anche le moltissime iniziative davanti al consolato, le serate, gli eventi a sostegno della lotta degli indigeni zapatisti, ricordo la folta delegazione di Tute Bianche che partì proprio da qui per aggregarsi alla marcha del color de la tierra, nel 2001, mentre il centro sociale era sotto sgombero, assediato dagli sgherri in divisa. E il loro ritorno, con passamontagna e paliacate direttamente sulle barricate costruite per difendere il centro sociale. E poi il Bae.

Chiudo per un attimo gli occhi e penso che proprio grazie al Bae, ultras del Venezia Mestre e compagno del centro sociale, che proprio qui in questa osteria iniziò tutto per me, quando ancora l’osteria si chiamava goliardicamente “allo sbirro morto” e con gli ultras della città ne animavamo le serate. Fu proprio per il Bae, che raggiunsi il Chiapas per la prima volta nel 2003. Il Bae due anni prima ci aveva lasciato con un grande vuoto che riempimmo con i sogni di un mondo migliore che provenivano dal Chiapas. Costruimmo ponti tra culture differenti, condividemmo sogni, unimmo movimenti e ultras, realtà sociali e migranti in suo ricordo. Riempimmo la Selva di suoni, di cori e dei mille colori che sventolavano nelle curve di mezza Europa. Viaggio nei ricordi. Ora sono lì, in Chiapas, è il 2005, anno in cui inaugurammo il progetto El Estadio del Bae con un fantastico Mundial del Fútbol Rebelde a San José del Río, nel Caracol Hacia la Esperanza. Quel mondiale lo perdemmo malamente sul campo, complice la lunga trasferta e la vendetta di Moctezuma che falcidiò la nostra scalcagnata squadra. Ma ne uscimmo lo stesso vincitori, tutte e tutti, chi era volato in Chiapas e quanti avevano contribuito a far volare il progetto, in Italia e in Europa. A conclusione del torneo, ci invitarono alla festa nel Caracol e io ebbi l’onore di salire sul templete de La Realidad davanti a tutta la comunità riunita. Salii sul palco con le gambe tremanti dall’emozione insieme ad Alessio, compagno e ultras di Ancona, e lessi la lettera di ringraziamento agli zapatisti. Un grazie doveroso per averci permesso di portare il Bae lì dove avrebbe voluto essere, ma anche per averci permesso di essere lì a percorrere un piccolo pezzo di strada insieme. Se mi concentro sento ancora le gambe tremare dall’emozione mentre racconto agli zapatisti la storia del progetto nel mio stentato spagnolo: «Desde cuatro años en Italia y en Europa, El Estadio del Bae es el hermanamiento de muchos aficionados de fútbol con las comunidades rebeldes zapatistas. Esto proyecto sirvió como instrumento por traer en los estadios de Italia y Europa el conocimiento de la lucha zapatista y muchos se enamoraron de esa».

Riapro gli occhi, ma le gambe non smettono di tremare perché la stessa emozione mi pervade ora. Sono passati tanti anni ma l’incontro con gli zapatisti è sempre così, ti riempie, ti rende vivo, ti carica all’infinito, ti fa sentire al centro del mondo. Ed è per questo che sono felice, perché tra poche ore mi sembrerà di essere di nuovo in Chiapas, perché altre compagne, altri compagni, potranno provare le stesse emozioni. Arriva un messaggio, sono Anna e Lorenzo che ci scrivono dal pullman che dalla Francia sta portando in Italia i 40 compas zapatisti della delegazione “estemporanea”. Sono ancora a Verona, scrivono, in forte ritardo perché ci sono state diverse soste. La prima a Torino dove è sceso il primo gruppo di “escucha y palabra”, la seconda nel traffico di Milano dove sono scesi altri due gruppi destinati alla Lombardia e infine pure una sosta imprevista a Brescia. Mi fa sorridere pensare che proprio la questione della lunghezza del viaggio e la stanchezza dei compas sono stati tra i motivi per cui LAPAZ, l’assemblea dei collettivi italiani che ha coordinato la gira, non ci ha voluto far fare la bienvenida italiana dell’intero gruppo qui al Rivolta.

Mi distraggo da questi pensieri che fanno solo innervosire e mi guardo attorno. A parte qualche canuto compagno che chiacchiera seduto al tavolino, dietro al bancone ci sono solo ragazzini, che forse nel 2005 erano a malapena nati. Proprio come mia nipote, Gaia, che ora è lì in fondo “in batteria” con ragazzi che mi danno del “lei”. E sono contento di vedere così tante facce giovani: i tempi sono bui - la tormenta avanza direbbero gli zapatisti - ma il nostro movimento è ancora vivo e forte e staremo al nostro posto, le piazze e i centri sociali, ancora a lungo. Penso a lei e a tutti gli altri ragazzini dei centri sociali del nordest che finalmente incontreranno per la prima volta gli zapatisti. Chissà se sono emozionati o chissà, magari non se ne rendono conto di che momento stanno vivendo. Arrivano altri compas, si fanno battute per alleggerire la tensione dell’attesa, si ride, si fuma dentro, ma solo “cicche”, che il resto è stato già “messo al bando” in segno di rispetto. Non ero più abituato, sento la puzza di fumo che si attacca ai vestiti, penetra nella pelle, graffia la gola. Per l’occasione anche le spine della birra sono staccate e le bottiglie di vino riposte in magazzino. E così sarà per le due settimane a venire. Potenza degli zapatisti. Il rispetto, l’accoglienza degna, si manifestano anche così, facendo piccoli sacrifici verso chi di certe scelte ne ha fatto un valore fondamentale e necessario giocandosi tutto nella propria battaglia. Torno a guardare fuori dalla finestra. Il Rivolta è sempre impeccabile nelle grandi occasioni ma questa volta hanno davvero dato il meglio di sé le “fie” i “fioi”. Se penso al cantiere delle settimane precedenti, sembra impossibile che oggi sia tutto perfettamente in ordine. «Alla fine ce l’abbiamo fatta» mi dice qualcuno e allora via con altri pensieri, altri racconti.

Era l’ottobre dell’anno prima quando il comunicato “una montaña en alta mar” squarciò mesi di silenzio lasciandoci esterrefatti. Di tutte le imprese zapatiste compiute dopo il levantamiento di 28 anni fa, certamente la gira por la vida è la più incredibile: centinaia di zapatiste e zapatisti viaggeranno per i cinque continenti alla ricerca di ciò che unisce los de abajo. Perché degli zapatisti dicono che siano finiti, che sono passati di moda, che non contano niente e che sono conservatori. E loro cosa ti organizzano? Una prova di forza, di potenza organizzativa, senza precedenti. Un’impresa che dimostra l’ottimo stato di salute di questo movimento, nonostante la “guerra al desgaste” messa in atto dal governo “amico” di López Obrador. Un’impresa titanica pensata per risvegliare le coscienze, per gridare a quanti continuano a lottare di non mollare, per ricordare a tutte e tutti che noi los de abajo non siamo soli. Certo, forse siamo pochi, diversi, siamo in disaccordo su molte cose e altrettante ci dividono, ma siamo gli stessi fratelli e sorelle che desideriamo costruire un mundo donde quepan muchos mundos. Para todos, todo. Disaccordo. È la prima parola che mi viene in mento se penso al percorso dei collettivi italiani per organizzare la gira in Italia. Disaccordo, e come molto spesso accade, con diverse sfumature politiche a intrecciarsi. Districarsi in questo contesto non è stato facile. Nonostante a parole si professasse una comunione d’intenti, l’impressione è che non tutti abbiano giocato a carte scoperte e remato dalla stessa parte, molte le difficoltà a far parte di un’assemblea così eterogenea, molte le informazioni non circolate correttamente o con puntualità. Alla fine ne siamo usciti tutti contenti, ma certamente non più uniti come forse si aspettavano gli zapatisti.

E forse questo è proprio il nodo, la sfida lanciata dagli zapatisti, che non tutti però mi pare abbiano colto. Unire le lotte, le resistenze, le ribellioni, le autonomie non ha mai significato fondersi tutti in una macro organizzazione, diventare soggetto politico unitario per affrontare l’idra capitalista. Al contrario, come firmato da tutte e tutti nel comunicato del primo gennaio 2021 “Primera parte: una declaración… por la vida”, la gira zapatista aveva l’obiettivo di mettere in rete tutte le realtà, conoscerle e apprendere da loro le loro lotte e i loro metodi organizzativi, ognuno rimanendo ciò che è senza necessità di dover cambiare o di dover rinunciare ai propri metodi e alle proprie caratteristiche. Perché, come scrivevano gli stessi zapatisti nel comunicato congiunto «ogni pretesa di omogeneità ed egemonia attenta l’essenza dell’essere umano: la libertà». La sfida zapatista è dunque una sfida lanciata al sistema capitalista, non una sfida per l’egemonia all’interno di organizzazioni o movimenti insignificanti dal punto di vista numerico. Tanto meno, la sfida è quella di creare una grande organizzazione verticale per organizzare le lotte.

Il pullman si avvicina. Anna, ci scrive che finalmente hanno appena superato Padova e sono tutti molto stanchi: i compas vorrebbero potersi sistemare subito nelle stanze, bere qualcosa di caldo e andare a letto. Gli scriviamo che va bene ma che il pozol è finito, dovranno accontentarsi di un semplice the. Mi ha portato un regalo, scrive Anna, ma forse avrei dovuto farglielo io a lei il regalo per il suo apporto fondamentale in questa avventura. Ad inizio primavera, in occasione del ventesimo anniversario della Marcha del Color de la Tierra, abbiamo coordinato insieme un importante lavoro di memoria sulla partecipazione delle Tute bianche a quella fondamentale marcia: “dalla marcha alla gira” si intitolava il lavoro, perché sebbene siamo soggetti diversi, collettivamente siamo sempre gli stessi che camminano domandando a fianco degli zapatisti da oltre vent’anni. Andrea, giovane compagno di Ya basta! Êdî bese! mi riporta alla realtà e mi chiama al tavolo a rileggere il discorso per la grande assemblea generale dell’indomani con i centri sociali del nordest. Lo guardo con orgoglio e intanto mi torna in mente la strada percorsa insieme. Sembra un secolo fa quando lui e Lorenzo mi hanno contattato per poter entrare nelle comunità zapatiste per completare con l’esperienza sul campo le loro tesi di laurea sull’economia e il sistema educativo zapatista. Da quel giorno tante cose sono cambiate e mi rendo conto all’improvviso che questa è la loro storia, sono loro i protagonisti, sono soprattutto loro che la stanno costruendo, giorno dopo giorno. E in fondo va bene così, ne sono davvero felice e anzi, l’avvento di nuovi protagonismi con il conseguente carico di responsabilità la ritengo una cosa molto zapatista. Con orgoglio penso che siamo tra le poche realtà storiche di appoggio alla lotta zapatista ad aver affrontato con nuovi attori questo cammino.

Altro messaggio di Anna, recita “usciti dal casello”. È ora di uscire, di prepararci ad accoglierli. Apro il foglietto e ripasso velocemente il discorso. Non l’ho imparato a memoria perché volevo lo leggesse Andrea, ma lui fa il timido e non vuole farlo. O forse il suo è solo un gesto di gratitudine nei miei confronti. Con il ridimensionamento del mio ruolo all’interno dell’associazione a causa del lavoro, dei figli piccolini a casa, del capitalismo che ruba il nostro tempo lui, Lorenzo e Anna si sono assunti le responsabilità di seguire questo percorso. Ma io sono comunque contento. Sono riuscito lo stesso ad esserci, a partecipare, a sostenere, a coinvolgere altri ragazzi in questa avventura e ad andare all’appuntamento di Madrid con Rita, la mia compagna, e i nostri bambini Emiliano e Victor. Madrid per gli zapatisti era una data importante: a 500 anni dalla conquista di Tenochtitlán lo Squadrone 421 ha invaso l’Europa facendo il percorso inverso fatto dai conquistadores, non per saccheggiare, uccidere, guerreggiare, tanto meno per farsi chiedere scusa dai discendenti degli assassini, ma per portare il seme della ribellione in questa nostra terra rassegnata e dominata dal capitalismo. Non avrei potuto mancare. Il mio entusiasmo per questa data ha convinto altri compas del Rivolta ad accompagnarmi, tra cui proprio Andrea. Insieme abbiamo accompagnato la marcia del vecchio compa Bernal, conosciuto tanti anni prima nelle comunità, e di tutto lo Squadrone 421, l’avanguardia zapatista venuta a rinomare l’Europa dal basso “Slumil K’Ajxemk’Op”, terra ribelle. E ciò mi basta, mi ha riempito. Di più non avrei potuto dare. È il loro tempo, rimane il nostro tempo.

Mi sento come alla fine di un viaggio, un viaggio iniziato tanti anni prima quando mi è stato affidato il compito di risollevare le sorti dell’associazione da parte dei compagni dei centri sociali del nordest. Dopo gli anni d’oro a ridosso del levantamiento zapatista, abbiamo attraversato un periodo buio in cui il percorso internazionalista non era più al centro del nostro agire politico. La ricostruzione è stata un lungo percorso fatto di tante difficoltà, ostacoli, soddisfazioni e sicuramente con molti errori lasciati alle spalle ma, e questa è la cosa importante, è proprio grazie a questo camminar domandando che sono stati anni di crescita per tutte e tutti. Oggi, grazie al sostegno indispensabile di molte compagne e molti compagni posso dire che ce l’abbiamo fatta che abbiamo rimesso al centro l’importanza dell’internazionalismo. Siamo di nuovo sulle strade polverose che conducono alle resistenze e alle autonomie che giorno dopo giorno crescono in molte parti del mondo, dal Chiapas al Wallmapu, dalla Palestina al Kurdistan. Siamo qui, ad accogliere i fratelli e le sorelle zapatiste. Ed è tempo che altri si assumano le responsabilità di guidare questo cammino.

È quasi mezzanotte, ecco il pullman dall’altra parte della strada, ma sfreccia via in direzione Porto Marghera, non accorgendosi dell’incrocio per entrare nel piazzale che tanti anni fa intitolammo, dal basso, a un ragazzo come noi, Carlo Giuliani. Srotoliamo gli striscioni, i “fioi” giovani preparano le torce, rileggo per l’ennesima volta il discorso. Ora che sono fermo in piedi ad aspettare, le gambe tremano fortissimo, come sul templete de La Realidad. Mi guardo attorno e sento la stessa tensione, la stessa emozione nelle mie compagne e nei miei compagni, dai più giovani ai più vecchi. Ultimo fugace pensiero: con rammarico penso a quanto bello sarebbe stato aver potuto dare la bienvenida di giorno, con un’accoglienza davvero come si deve, coi compas zapatisti accolti da centinaia di persone. E invece hanno prevalso le rivalse. Minuti che sembrano ore poi finalmente eccolo il pullman, svolta in piazzale strombazzando nonostante sia quasi mezzanotte. Il pullman si ferma, partono le torce, rigorosamente rosse, Andrea lancia i classici “viva” della rebeldía zapatista. Dai finestrini i compas zapatisti cominciano a riprenderci. Per una volta sono loro a immortalarci in video ed immagini, e gli “indigeni” diventiamo d’improvviso noi.

I primi a scendere sono Anna e Lorenzo. Nei loro volti sfatti da giorni senza sonno, un sorriso che sa di gioia e rivoluzione. Missione compiuta. Li guardo con gli occhi lucidi, quanto avrei voluto scendere anch’io da quel pullman. Poi a uno a uno scendono i ventidue compas zapatisti, quattro gruppi di “escucha y palabra”. Uomini e donne del colore della terra, qui davanti a noi, davanti al mio centro sociale. Non ci posso ancora credere che sia vero. È arrivato davvero il momento, da domani, con l’assemblea plenaria i ragazzi e le ragazze dei centri sociali del nordest inizieranno questo piccolo tratto di strada in comune e sono certo che sarà un’esperienza che li segnerà nella loro attività politica, che non potranno dimenticare. Due settimane di convivenza comune, e più che le varie assemblee programmate, sono sicuro che sarà proprio il convivere insieme, preparare pranzi e cene, mangiare, chiacchierare informalmente a cementare questa esperienza. Proprio come succede in Chiapas durante le carovane. Per due settimane il centro sociale Rivolta diventerà il caracol, il centro politico di questa esperienza da cui partiranno e ritorneranno i compas per conoscere tutte le esperienze del nostro territorio, delle nostre piccole isole di ribellione al neoliberismo. Andrea ha appena smesso di lanciare i “viva”, non c’è più tempo di pensare, ora finalmente tocca a me dargli il benvenuto:

«Compañeras y Compañeros

Hermanas y Hermanos

A nombre de nuestros colectivos, comités y organizaciones. A nombre de la Asociación Ya basta! Êdî bese! y de todos los Centros Sociales del Noreste de Italia, les damos la bienvenida a ustedes, y a través de ustedes, a todo el Ejército Zapatista de Liberación Nacional. Esta es una de nuestra humilde islas de rebelión al neoliberalismo. O como dicen ustedes una de nuestra Slumil K’Ajxemk’Op.

Hoy con la alegría en el corazón, el mar en los ojos y con orgullo vamos a abrir las puertas de nuestra casa a quien siempre nos acogió con sonrisas y dignidad en la tierra rebelde y en resistencia de Chiapas, a quien compartió con nosotras y nosotros mais y pozol, luchas y sueños.

Acá entre hombres, mujeres y jóvenes encontraran corazones en rebeldía, en resistencia, en llamas. Corazones que buscan construir un mundo donde quepan todas, todos y todoas y sobre todo donde no hay espacio para la desigualdad, la explotación, el racismo y el fascismo.

Acá encontraras hombres, mujeres y jóvenes que no claudican, que no se venden, que no se rinden a que su tierra sea vendida al monstruo, lo que ustedes llaman hidra, que afecta a todas, todos y todoas en modos diferentes pero siempre en contra de la Vida. Hombres, mujeres y jóvenes que desde hace 30 años luchan en defensa de su propia geografía y han hecho de este pequeño pedazo de tierra un espacio de Libertad y Autonomía.

Bueno, habrá tiempo para conocernos, para hablar y para escuchar pero ahora es el tiempo de la bienvenida, de abrir la puerta de nuestra casa y de nuestros corazones: sean bienvenidas y bienvenidos hermanas y hermanos zapatistas. Con esta puerta abrimos también un camino juntos en defensa de la Vida.

¡Adelante compañeras y companeros!»


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