Intervista a Miguel Miranda, ricercatore del CEDIB, sul contesto nel quale si svolgono le elezioni boliviane del 17 agosto 2025.
A metà agosto si svolgeranno le elezioni presidenziali nel Paese andino che da diversi anni è preda di una gravissima crisi politica, economica, sociale, ambientale e dei diritti. A contendersi la scottante poltrona otto candidati, tre di area progressista e cinque di centrodestra. Tra questi, secondo i sondaggi, i favoriti sembrano essere l’imprenditore Samuel Doria Medina e l’ex presidente Tuto Quiroga. A sinistra, con Evo Morales inabilitato e fuori dai giochi, e con una lacerazione drammatica nel partito di governo, si presentano l’ex ministro Del Castillo per il MAS, Eva Copa con Morena e l’ex delfino di Evo Morales, Andrónico Rodríguez, con Alianza Popular. Quest’ultimo sembra essere l’unico candidato progressista ad avere concrete possibilità di arrivare almeno al ballottaggio. Ma, sempre secondo i sondaggi, restano ancora molti gli indecisi e soprattutto coloro che non si sentono in nessun modo rappresentati da opzioni così lontane tra loro eppure così simili.
Come arriva il Paese a questo importante appuntamento elettorale? In una profonda crisi strutturale. L’aumento dei prezzi, la scarsità di carburante e di divisa, l’erosione dei diritti e l’aggressione ai territori sono solo alcuni aspetti di questa crisi. A livello politico, dopo i tumultuosi fatti del 2019, il MAS era riuscito a ritornare al potere nelle elezioni del 2020 con Luis Arce, ex ministro dell’economia nei governi di Morales, nonché suo fedelissimo. Morales lo aveva imposto come suo successore alla base del movimento che avrebbe preferito un candidato di origine indigena. Tuttavia, la luna di miele tra Morales e Arce è durata poco: ben presto, si è creata una frattura tra la fazione evista e quella arcista del partito che ha portato a colpi di scena e attacchi sempre più pesanti tra le due fazioni, con Morales che ha accusato il governo di aver tradito le istanze storiche del MAS ma che è stato a sua volta travolto dalle accuse, provenienti in particolare proprio dal governo, di tratta e stupro nei confronti di una minorenne, rischiando anche di essere arrestato.
Nell’ultimo anno, la frattura ha assunto tratti anche farseschi, con un presunto colpo di stato subito da Arce (ma che in molti ritengono un autogolpe per cercare di recuperare consensi), un presunto attentato denunciato da Evo Morales mentre fuggiva alla cattura della polizia, fino alle minacce di insurrezione dello stesso Morales che, impossibilitato a ricandidarsi dal TSE (la Costituzione scritta durante la sua presidenza pone il limite di due mandati), ha cercato di imporre la sua presenza nella contesa elettorale con la forza, in un quadro politico che, da destra a sinistra, è stanco della sua presenza e unito nel considerarlo un nemico.
Nonostante il processo di autodistruzione del MAS, le varie anime della destra boliviana non sono state capaci di approfittarne e giungere unite all’appuntamento elettorale, dimostrando di essere inaffidabili e di non essere una reale alternativa al partito di governo. Così, mentre in alto si lotta per le poltrone, il Paese sta lottando per sopravvivere alla crisi. Per approfondire il contesto in cui si svolgeranno queste elezioni, la crisi economica e il degrado politico dei partiti, di seguito l’intervista a Miguel Miranda, ricercatore del CEDIB, organizzazione che si occupa di ricerche su estrattivismo, ambiente e diritti umani.
Si avvicinano le elezioni presidenziali in un paese in crisi economica, politica e sociale. Quali sono gli aspetti più gravi di questa crisi?
Innanzitutto è una confluenza di crisi, non si tratta di una crisi settoriale. Si sono sommate varie dimensioni, economiche e politiche, e questo ha fatto sì che si è creato un circolo vizioso. Il primo aspetto di gravità è la stessa gravità. Come è già successo in passato, siamo sull’orlo della bancarotta a livello economico. Le riserve internazionali sono ridotte a un livello minimo e mettono il Paese in una grave situazione di rischio per sviluppare le transizioni base o interscambi economici internazionali e questo si riflette nella mancanza di divisa, nella crisi di combustibile, perché se non ci sono dollari non si può comprare combustibile e, a ruota, si debilita l’apparato produttivo.
Tutti gli indicatori della crisi economica, politica, ambientale stanno segnalando il massimo della gravità. Credo che non abbiamo mai avuto tanto smarrimento, tanta carenza, tanta degradazione nel settore politico. In epoche precedenti abbiamo avuto sempre un soggetto politico con capacità di tradurre, capire, di fare un’analisi su ciò che stava succedendo e poter proiettare verso avanti proposte di lungo termine. Ora tutto questo non c’è, le differenze tra i soggetti politici sono minime, il livello di vuoto e degradazione è estremo.
Un altro aspetto da considerare è che stiamo vivendo una nuova fase di crisi, che ciclicamente ci colpisce e se la compariamo con quella che abbiamo vissuto all’inizio degli anni 2000 in Bolivia quando dominavano i partiti neoliberisti che si spartivano tra di loro l’amministrazione dello Stato, possiamo vederne le caratteristiche simili: la scarsità di dollari e combustibile, il debito, le manovre economiche. Andando a ritroso nel tempo, se analizziamo per esempio la crisi del 1983-84-85 ci si accorge che fu simile anche quella, che stiamo pestando nuovamente la stessa pietra.
I cicli si stanno ripetendo ed è grave che gli attori politici non siano né onesti né capaci di riconoscerlo: la colpa della crisi non è dei comunisti irresponsabili che hanno dilapidato i beni del paese (anche se su questo un fondo di verità c’è), ma dell’adozione di un modello economico basato sull’estrazione di materie prime e l’esportazione che predomina nella struttura economica e che genera queste crisi perché ci rende dipendenti dei prezzi internazionali e di conseguenza vulnerabili a qualsiasi oscillazione degli stessi.
Questo succede perché in Bolivia non riusciamo a sostenere un apparato produttivo proprio, senza generare conoscenze e tecnologia, senza incatenare diverse attività economiche, vale a dire, abbiamo un modello estrattivista esasperato che porta queste crisi nel Paese e che oltretutto sono collegate con le crisi cicliche del capitalismo. Questa lettura attualmente non la fa nessun attore politico e pertanto è una dimostrazione ulteriore della profondità della crisi.
Un tema sicuramente centrale è quello ambientale. Da ricercatore del CEDIB, quali sono stati in questi ultimi anni i nodi più critici contro territori e popolazioni originarie e soprattutto a livello di programmi elettorali ci sono delle prese di posizione significative o, vinca chi vinca, non cambierà la prospettiva futura?
A mio avviso sono tre i punti critici, il primo è il settore minerario. Mai come oggi abbiamo una totale assenza di politiche minerarie, le politiche e le decisioni sull’estrazione mineraria sono liberate e assoggettate alla voracità di settori antinazionali. I più grandi predatori, anti diritti, sono i cooperativisti minerari, che sono i più vincolati al capitale transnazionale, non hanno neanche la capacità di proporre, di negoziare una visione del Paese sull’estrazione mineraria.
Per quel che riguarda il settore minerario, la situazione più grave riguarda l’estrazione aurifera che è anche quella che apparentemente ha più esportazioni; nonostante questo non stiamo riuscendo a catturare niente come rendita per lo Stato e ciò è dovuto all’estrema deregolamentazione avviata dallo Stato stesso su questi attori ibridi del cooperativismo minerario, che non si capisce se sono impresa, soggetti sociali o popolari (perché si mettono un casco con il logo di Che Guevara e si fanno chiamare così) o un attore politico perché sono parte della struttura statale e controllano i ministeri dell’ambiente e minerario. Questo essere così ibridi fa sì che nessuno riesca a fermare la loro estrema e spudorata violazione dei diritti ambientali e umani. Nessuno dei candidati sta parlando di questo, anzi, dal momento che sono un settore importante, stanno cercando il loro appoggio rimanendo completamente in silenzio sul tema minerario, in particolare su quello aurifero.
Un altro punto critico è l’agrobusiness e la mercificazione delle terre. Abbiamo un modello dove si esporta bestiame e che è fortemente vincolato alla speculazione, alle estrazioni e alla mercificazione della terra. In realtà il modello boliviano non è produttivo, non ha la capacità di produzione come per esempio hanno i coltivatori di soia brasiliani o paraguaiani, anche la produttività dei coltivatori di soia qui è bassa, tuttavia questo settore continua ad avere tanto sostegno, in primo luogo a causa delle bugie sul famoso modello di successo - che non lo è - di Santa Cruz, in secondo luogo perché è legato al business della terra. Questo è un grande problema che gli conferisce un grado altamente predatorio, perché si deve mettere a disposizione più terra per un modello improduttivo legato alle dinamiche di speculazione e mercificazione della terra. Gli incendi e l’espansione della frontiera agricola che causano la violazione dei diritti in modo così pesante sono la manifestazione estrema di questo estrattivismo e non c’è nessuno che possa fermare tutto ciò.
Il terzo settore critico è quello degli idrocarburi di cui si è persa una visione nazionale che si voleva costruire con le mobilitazioni di fine anni ’90, inizio anni 2000. Una visione che si è parzialmente recuperata con la “Ley de carburos” 3058 del 2005 anche se ora è completamente distrutta e delegittimata. Quindi, non solo non siamo un paese produttivo ma non abbiamo nemmeno la capacità di esportare, inoltre, il mercato interno sta crescendo, con un’alta probabilità che tra un paio d’anni avremo una crisi del gas naturale per il consumo domestico che sarà devastante. Quindi è un modello che ha fallito e che provoca inoltre gravi violazioni dei diritti perché l’intera espansione della frontiera degli idrocarburi è stata fatta contro le popolazioni, in totale assenza di dialogo con la società.
Per quanto riguarda le posizioni dei candidati sulla crisi ambientale, forse questo è il punto più estremo della mancanza di proposte e della visione retrograda che gli stessi candidati hanno. La Bolivia sta letteralmente bruciando di nuovo e i candidati fanno solo menzioni impalpabili, estremamente generiche sul problema degli incendi. Questo è già un indicatore della direzione generale e rispetto all’altro nodo che ho appena menzionato, il settore minerario aurifero, non hanno nemmeno una proposta per catturare il reddito minerario, per aumentare al 2 o più per cento la quota che i minatori, che stanno saccheggiando e prelevando grandi quantità di denaro, devono destinare allo Stato. Figuriamoci mettere in discussione il modello minerario estrattivista dominato dai cooperativisti, non c’è nessuna volontà di farlo.
Questa incapacità, questa mancanza di visione di tutti i candidati, sia dei cosiddetti partiti di sinistra – che sinistra non sono ma correnti derivate dal MAS – sia degli altri partiti di destra fa sì che siano simili nella loro incapacità di conoscere il problema ecologico, ambientale. Le loro proposte sono completamente alle spalle dei veri problemi ambientali che non sono mai entrati nella discussione perché avrebbero dovuto entrare nella discussione del modello e non l’hanno fatto. Quindi, a livello ambientale, non hanno niente da dire o da proporre.
Così quando li senti parlare, per esempio, di litio e menzionano la questione ambientale, la citano come quinta ruota del carro, come accessorio quando invece dovrebbe essere centrale. Se, come si suppone l’approvvigionamento del litio dovrebbe essere vincolato alla transizione energetica, dovremmo poter avere voce in capitolo sul nostro litio, invece non sono entrati nel dibattito, con la società civile boliviana e le loro proposte sembrano quelle dei bambini che non conoscono la realtà.
La società civile boliviana rispetto al tema ambientale, invece, ha sviluppato analisi e riflessioni, si è informata, c’è quindi una frattura totale con gli attori politici che sono completamente distaccati dai problemi reali. Credo che rispetto al tema ambientale si manifesti maggiormente il vuoto che hanno i candidati rispetto ad analisi e proposte politiche. Non c’è molto da sperare, in tutti i dibattiti che si sono svolti, anche a livello accademico sulle transizioni da questo modello estrattivista, non si è visto nessuno, nemmeno chi avrebbe dovuto esserci come i progressisti. Andrónico, Del Castillo o Eva Copa sono completamente all’oscuro di tutti i problemi e le loro proposte sono maquillage, giardinaggio, green washing e nient’altro. Questa è la cosa più deplorevole.
Un tema che va di pari passo a quello ambientale è quello dei diritti umani, spesso calpestati da chi si oppone ai progetti estrattivisti del governo. Il governo di Arce da questo punto di vista non sembra aver invertito il trend dei governi precedenti, con continui attacchi ai difensori del territorio.
Sono totalmente d’accordo con ciò che percepisci in questa domanda. Nei governi di Evo tutti gli attori più potenti, mi riferisco a García Linera, Romero o Quintana, erano completamente anti-ambientali e non perché fossero ignoranti ma perché avevano una posizione assolutamente retrograda: hanno canonizzato il modello cruceño come un modello di successo e praticabile, potete immaginare cosa ci si può aspettare da loro. Rispetto ad Arce, inutile dirlo, ha percorso la stessa strada quindi il MAS e la destra tradizionale coincidono totalmente nella loro mancanza di visione e di proposte di diritti in tema ambientale.
Sono tutti pro-estrattivismo, dell’estrattivismo più bastardo, più duro, quello che erode di più i diritti, come abbiamo visto con l’estrattivismo aurifero. Non ci si può aspettare molto, ecco perché bisogna leggere molto criticamente le proposte sull’ambiente, qui le consideriamo cháchara, che vuol dire spazzatura, bugia, cose inutili.
Per tutto questo possiamo concludere che esiste una grave situazione di rischio per i difensori dei diritti, per quelli di noi che lottano per i diritti dei popoli indigeni, che difendono i territori, i propri sistemi di vita, la propria identità culturale e che non sono stati cooptati dal potere. Entreremo in una situazione di rischio ancora maggiore perché con il pretesto della crisi economica stanno diventando molto più palesemente estrattivisti, questo è lo scenario che ci si prospetta davanti.
Le forze di sinistra e di governo, dicono i sondaggi, sono in una profonda crisi. Dalla frattura tra evisti e arcisti, al fallimento del governo di Arce, quali sono gli aspetti più significativi di questa rottura e quali saranno, secondo te, le conseguenze a livello elettorale?
Gli aspetti più significativi di questa frattura non sono recenti, vengono da lontano. Io credo che il primo e più grave aspetto di questa rottura sia con la realtà ovvero, le forze di sinistra, nonostante sembrassero coese durante la “bonanza” di Evo Morales, hanno cominciato a vacillare a partire dal 2014 quando la loro apparente unità si è sbriciolata in modo ingannevole nascondendo una frattura con la realtà.
La marcia per il Tipnis, che è stata repressa dal governo e dai settori ad esso collegati è stata un’espressione così dolorosa ma chiara di quello che sto dicendo: le forze del MAS, i settori più duri come i cosiddetti interculturali (che sono colonizzatori, commercianti di terre), per non parlare dei cocaleros, avevano già perso la bussola ed erano totalmente ai margini dei problemi reali che le popolazioni indigene stavano sollevando.
Poi ovviamente si è arrivati a ciò che si è visto, il MAS si è frammentato perché hanno perso il loro orizzonte politico e i settori sono rimasti con una visione sempre più frazionista perché non hanno altro. La loro degradazione in fondo è una dimostrazione di dove possono arrivare, è una visione del potere solamente per sfruttare il settore che gli interessa, allo stesso modo in cui si denunciava la vecchia destra negli anni ’90 che voleva il potere solo per garantire i propri privilegi. Le lotte tra evisti e arcisti rispondono proprio a questo, a posti di lavori nello Stato, vale a dire a ciò che criticavano alla destra.
Per questo è facile che si dividano, perché non c’è più un progetto che unifichi, non ci sono dibattiti, non c’è un’interpretazione della realtà globale. La loro lotta è per piccole porzioni di potere. Le conseguenze a livello elettorale innanzitutto è che non convincono le persone, che non si vedono riflessi in Del Castillo, Andrónico o lo stesso Evo, non li attraggono più.
Immersi in tanta corruzione e in tanta mancanza di idee e di proposte non arrivano al cuore delle persone, non convincono, soprattutto in mezzo a una crisi economica. Subiranno una sconfitta, se ci saranno elezioni pulite. Ma ho dubbi: mi sembra che la scelta di Del Castillo sia strana e sospetta perché quel tipo lo sanno tutti non attrae nessuno, è un incapace, non ha idee e rischia di mettere a repentaglio la sopravvivenza della stessa sigla elettorale del MAS, per questo mi fa venire dubbi riguardo al fatto che non stiano commettendo frodi. Comunque, dando loro il beneficio del dubbio, se non ci saranno frodi, se ci saranno elezioni pulite, subiranno una tremenda sconfitta.
La sinistra uscirà sconfitta dopo tanti anni. Una sconfitta notevole che affonda le sue radici nel passato, direi che è iniziata 14-15 anni fa con il trionfalismo per l’approvazione della nuova Costituzione, con la mancanza di connessione con la realtà, per la corruzione e per l’intensificazione dell’estrattivismo.
Se la sinistra non ride anche la destra non sembra stia meglio. Le varie anime delle destre reazionarie non sono riuscite a trovare un’unità che avrebbe garantito un quasi sicuro successo. Tuttavia, mai come questa volta almeno un candidato ha serie prospettive di vittoria. Cosa ne pensi?
Io sinceramente non credo più molto alle frontiere tra destra e sinistra in Bolivia, ma per convenzione riguardo a ciò che chiamiamo destra credo siano simili: la loro incapacità, la loro mancanza di visione integrale del paese è ugualmente grave, sono signorotti che non hanno idee. È come se questi 20 anni di MAS non avessero dato loro lezioni sincere per comprendere il Paese, non solo per la diversità culturale, ma per ciò che significa l’economia, cosa significa essere un paese così complesso come la Bolivia.
Il fatto che stiano editando ricette degli anni ’80 è la prova più evidente che sono persi. Altri sintomi del loro smarrimento sono che stanno copiando progetti liberali di pazzi come Milei e nemmeno a livello della loro corrente liberale hanno qualcosa di serio, innovativo, sostenibile da proporre. Proprio come a sinistra, anche a destra sono in un momento terribile di discredito e degrado. I soliti vecchi, Manfred Reyes Villa, Tuto o Doria Medina, cosa offrono al Paese? Niente.
In parte è anche per questo che c’è apatia. I sondaggi infatti riflettono questa mancanza di decisione e i voti bianchi e nulli riflettono la forza di questa apatia, perché nessuno dei candidati riesce a convincere. A livello elettorale anche la destra subirà fondamentalmente una sconfitta: anche se uno di loro dovesse vincere molto probabilmente il governo che uscirà da queste elezioni sarà un governo estremamente debole, dalla durata breve.
Questo hanno portato le crisi precedenti negli anni ’70 e ’80. Ci sono stati molti governi che non duravano nemmeno un anno: dopo Banzer è venuto Guevara, poi Lidia Gueiler, García Meza e i militari, fino a Siles che non ha completato il suo mandato. Lo stesso è accaduto negli anni ’90 con l’intermittenza dei governi di Banzer (che non è durato a causa del cancro), poi Sánchez de Lozada che non ha concluso il suo mandato e Mesa che non è durato a lungo e a cui è subentrato Veltzé. Queste crisi cicliche ci mostrano che sono accompagnate da una grande instabilità e quello che si osserva è che il governo che si costituirà dopo queste elezioni sarà estremamente debole, sia che governi la destra, sia che governi la sinistra. Le condizioni di governabilità saranno altamente fragili.
Infine, a prescindere dal risultato elettorale, pensi che queste elezioni possano mettere un po’ di ordine nel quadro politico boliviano e restituire un po’ di equilibrio o rischiano di riprodurre tensioni sociali come nel 2019?
La mia risposta alla domanda precedente rispondo anche un po’ a quest’ultima. Indipendentemente dal risultato elettorale queste elezioni non andranno a solidificare il quadro politico boliviano così fortemente segnato dalla debolezza delle istituzioni, dalla mancanza di rispetto per le regole minime della democrazia. Non ci saranno condizioni di salute della democrazia tali da garantire diritti, l’imparzialità e l’indipendenza dell’organo giudiziario, non verranno rispettate di più le libertà e le garanzie più basilari come la libertà di espressione, di riunione, di associazione.
Tutt’altro, a quanto pare stiamo andando verso un maggior deterioramento della democrazia, qualunque sia il governo che si insedierà. Tu parli del periodo 2009-19 come di un periodo di equilibrio ma io non credo ci sia stata una vera stabilità prima. In sintesi non penso che queste elezioni garantiranno un miglioramento della salute della democrazia del Paese. In molti si stanno illudendo e in effetti le elezioni stanno servendo come una sorta di medicina per contenere la protesta sociale di fronte alla gravità della crisi economica, alla mancanza di carburante, all’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Ma è un’illusione, una bolla d’aria che poi si sgonfierà, perché non solo non risolverà rapidamente i problemi più critici dell’economia, ma non rispetterà nemmeno la democrazia.
Vale a dire, questo di credere che uscendo di scena il MAS, Tuto o Doria Medina saranno più rispettosi dei diritti e delle garanzie è sbagliato, non lo faranno, saranno uguali o peggiori o forse dissimuleranno di più le cose nei modi ma comunque saranno regimi repressivi che coopteranno la giustizia, le istituzioni di supervisione e di controllo e le organizzazioni sociali. Quello che ci aspetta è un panorama piuttosto oscuro a livello di democrazia più o meno uguale a quello attuale.
Pubblicato originariamente su Global Project