Intervista a Carlos Núñez, abitante del villaggio di Salango in lotta contro il saccheggio delle risorse e l’esproprio fraudolento dei territori della comunità indigena.
Alla “comuna” di Salango, parrocchia rurale del cantone di Puerto López, provincia di Manabí, io e la mia compagna Rita ci arrivammo dopo una notte intera di viaggio in bus. La sera prima David ci aveva offerto l’ultimo canelazo in un vecchio e caratteristico locale della capitale Quito e poi ci aveva accompagnato alla stazione degli autobus da dove, di lì a poco, sarebbe partito il bus. La mattina seguente eravamo arrivati finalmente sulla costa. Dai miei appunti di viaggio riporto fedelmente le prime emozioni all’arrivo: «non ci vuole poi molto a rendersi conto che questo piccolo villaggio di pescatori è un posto fantastico».
La visita in quell’angolo sperduto della costa ecuadoriana non fu dettato da aspirazioni turistiche, ma dalla volontà di percorrere il largo camino de las resistencias in Ecuador, per costruire relazioni per l’associazione Ya basta!. David, conosciuto pochi mesi prima durante il Global Meeting organizzato dai Centri Sociali del Nord Est a Marghera, ci aveva proposto di andare a conoscere questa piccola realtà popolare, allora molto attiva e determinata nella difesa della propria terra. Sempre dal mio fedele diario, infatti, riporto: «oltre all’incanto del posto, qui c’è qualcos’altro: la gente del luogo sta lottando contro un ricco svizzero che, illegalmente, ha acquistato molti ettari di terreno. Ora la Comuna e il museo sono gestiti direttamente dalla popolazione locale, ma la battaglia non è ancora finita».
La storia della comunità di Salango, un antico villaggio indigeno abitato dai discendenti del popolo Manta Huancavilca, cambia radicalmente sul finire del secolo scorso quando attirò le attenzioni di Patrick Bredtahuer, un imprenditore immobiliare svizzero, che chiese all'allora presidente del Consiglio della comunità di Salango di vendere alcuni appezzamenti di terreno con il pretesto di realizzare un progetto turistico. «Il 31 dicembre 2001 - come riporta il sito della INREDH - la comunità fu vittima di una vendita fraudolenta di 34,32 ettari di terreno comunale, tra cui spiagge e strade pubbliche. L'operazione, portata a termine senza il consenso dei membri della comunità, ha portato alla chiusura dell'accesso alla spiaggia, alla criminalizzazione dei leader della comunità, alla repressione della polizia e alla prolungata inazione dello Stato».
A ricordarmi questa storia di resistenza di quasi 20 anni fa (era il 2007 quando visitai Salango) è un recente messaggio di Carlos, abitante del luogo che in quei lontani giorni ci accompagnò a conoscere il villaggio, la sua storia e la sua lotta, ci ospitò all’interno del museo archeologico di Salango di cui era coordinatore e, nota di colore, ci invitò pure al matrimonio di una sua parente. Il messaggio in questione recita: «qui a Salango tutto è tranquillo, il 20 abbiamo l’udienza presso la Corte Interamericana de Derechos Humanos in Guatemala perché Salango ha citato in giudizio lo Stato davanti alla CIDH per aver permesso a Patrick Bredtahuer di acquistare terreni in modo illegale. Dopo tanti anni - conclude Carlos nel messaggio - sembra finalmente che ci sarà una fine».
Chi ha vissuto in prima persona queste piccole esperienze di lotta e resistenza di fronte alla voracità e alla disumanità del capitalismo, non può dimenticarle e non sentirsi partecipe della lotta stessa, per questo ho chiesto a Carlos di raccontarci la storia di questa comunità ribelle. Di seguito l’intervista.
Da circa 20 anni, parte dei territori storici della comunità di Salango, sono occupati illegalmente dall’uomo d’affari svizzero. Ci racconti come è nata questa storia di occupazione?
«Intorno al 1990 conoscemmo uno straniero svizzero, che attraverso una Fondazione si infiltrò nella comunità organizzando gruppi di donne incentivandole a realizzare orti agricoli, le aiutò con sementi e alcune attrezzature, ma lo scopo era quello di guadagnare fiducia, poco tempo dopo, infatti, iniziò a chiudere gli accessi alla Playa Dorada, Rio Chico; per raggiungere questo obiettivo, ha corrotto i leader della comunità ed è stato persino registrato come membro della comunità, il che era contro gli statuti del comune. Nel 2002 ha proceduto in collusione con il proprietario di una locanda chiamata Piqueros Patas Azules a privatizzare l'unica strada di accesso alla spiaggia di Rio Chico, all'estremità meridionale di questa spiaggia ci sono rocce quindi c'è una diversità di specie di crostacei e pesci di pietra che servivano alla sopravvivenza della comunità.
La comunità, sentendosi privata del suo diritto al libero accesso ai suoi mezzi di sussistenza, ha dovuto reagire e chiedere che l'accesso al mare fosse aperto, in risposta Patrick Bredtahuer ha inviato sicari per intimidire la popolazione e ha chiuso anche l'altro accesso alla spiaggia di Los Ostionales e Playa Dorada. Quindi ha proceduto a identificare coloro che hanno guidato il processo di lotta e resistenza e fece in modo di istituire processi per terrorismo, I membri della comunità sotto processo sono dovuti fuggire lontano dalle loro famiglie, alcuni sono stati imprigionati, altri sono stati torturati e la popolazione è stata intimidita da sicari che sparavano ogni notte sulla strada principale spaventando la popolazione. Siamo andati dalle autorità locali che all'inizio ci hanno sostenuti ma poi il potere del denaro le ha corrotte, siamo andati anche ai tribunali di giustizia ma in tutte le istanze non davano ragione alla comunità.
Dopo aver provato tutti i livelli della Giustizia in Ecuador, abbiamo denunciato lo Stato ecuadoriano per averci lasciato indifesi davanti alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, la CIDH ha poi passato il caso alla Corte Interamericana e dopo più di 20 anni ora vediamo solo una luce alla fine del tunnel poiché il 20 maggio ci sarà l'udienza in Guatemala convocata dalla Corte Interamericana».
Ricordo che quando ho visitato Salango nel 2007, molti terreni erano recintati, incluso un imponente muro che limitava la vista panoramica al Mirador. Continua ad essere così? Quali sono state le conseguenze che hanno colpito la comunità?
«Il Mirador Salango [punto panoramico] è una testimonianza della nostra lotta, Patrick mantiene ancora oggi il muro e le recinzioni con il filo spinato. Per evitare che s’impossessasse di tutto il posto abbiamo costruito una sala da pranzo comunitaria e il Mirador, ma a causa delle pressioni e delle minacce il posto è stato abbandonato. Il posto è visitato dai turisti ma anche loro provano paura a causa del filo spinato intorno come se fossero in territorio privato anche se non dovrebbe essere così. Questo è uno dei posti più belli per la sua vista, la comunità ha progetti in mente ma non può realizzarli a causa della paura».
La vostra richiesta di giustizia non è stata ascoltata e, di fatto, lo Stato ecuadoriano ha risposto con repressione e criminalizzazione della comunità. Cosa vi aspettate ora dalla sentenza della Corte Interamericana?
«Niente sarà più come prima perché c'è già un impatto in ogni modo, ci sono persone che sono andate nella tomba in attesa di una soluzione, ci sono stati leader della comunità che hanno perso i loro parenti mentre fuggivano accusati di essere terroristi, ma il fatto che questo caso sia già in Tribunale è già una grande vittoria perché significa che ci sono abbastanza argomenti perché la Corte emetta una sentenza a favore della comunità, e, per quanto possibile, si risarcisca il danno causato dall'irresponsabilità dello Stato nel permettere una serie di abusi. Speriamo che si crei un precedente per evitare che altre comunità vengano espropriate delle loro terre e che i loro diritti vengano violati, ci deve essere una sanzione ferma e forte da parte della CIDH contro lo Stato in modo che capiscano che non possono fare o permettere violazioni che minacciano la vita delle persone».
Abbiamo visto con il referendum sullo Yasuní che il governo di Noboa si rifiuta di rispettare le sentenze e le decisioni che vietano lo sfruttamento dei territori a discapito degli interessi delle multinazionali capitaliste. Credi che farà rispettare una eventuale sentenza favorevole alla comunità?
«Purtroppo, ci sono sentenze della CIDH che non vengono rispettate, principalmente da governi con sfumature autoritarie come quello dell'Ecuador, ma le conquiste finora sono state raggiunte quando c'è una comunità organizzata con un orizzonte chiaro. È una reale possibilità che questo governo non si adegui nel caso in cui il tribunale decida a favore della comunità, ma le comunità non si stancano e non smetteranno di lottare, i processi e i problemi cambiano ma non finiscono, i giovani si stanno impegnando nell'organizzazione, Salango indipendentemente dalla sentenza a favore o meno della CIDH continuerà ad esistere e la sua storia e l'eredità dei nostri antenati saranno l'incoraggiamento delle generazioni future a continuare a resistere.
Patrick Bredtahuer aveva detto che aveva poco tempo per risolvere il problema ed è per questo che ha comprato tutte le autorità e anche un intero governo come quello di Lucio Gutierrez. Ci furono delle eccezioni, ma in generale il sistema giudiziario è corrotto, la nostra risposta a quello che ha detto Patrick è stata: "tu hai poco tempo ma noi abbiamo una vita", questo è ciò che diciamo allo Stato nel caso in cui voglia disattendere una risoluzione favorevole alla comunità».
Nonostante lo svizzero e le violazioni dei diritti umani e territoriali che avete subito, a Salango la comunità è riuscita ad organizzarsi non solo in resistenza a tutto questo, ma anche nella costruzione di un modello di turismo comunitario ecosostenibile nel quale tutta la comunità trae beneficio nel rispetto dell’ambiente. Ci puoi parlare di questa esperienza e della sua importanza per la comunità?
«Il modello di sviluppo di Salango nasce dalla lotta per il territorio, Patrick Bredtahuer con tutti i mezzi ha presentato un modello di sviluppo ma privato, cioè voleva costruire un mega resort dove aveva bisogno solo di due cose dalla popolazione, manodopera a basso costo e che rinunciassero alle loro spiagge poiché l'idea di lui era quella di appropriarsi del profilo costiero, costruire un grande muro e avere solo spiagge private per sé stesso dove sarebbero arrivate le navi da crociera, aveva anche un'area per costruire eliporti, campi da golf, ecc. Di fronte a questo modello che Patrick proponeva e con il quale giustificava davanti alle Autorità l'usurpazione di terre e spiagge, la comunità ha proposto anche un modello di vita che è nato dopo diverse assemblee comunitarie in cui si è discusso del futuro della comunità e dove si è deciso che il turismo comunitario è l'alternativa al modello proposto da Patrick.
Per raggiungere questo obiettivo, la prima cosa è stata recuperare il Centro de Investigaciones y Museo Salango che era nelle mani della Fondazione ProPueblo di cui Patrick era l'azionista di maggioranza. Abbiamo dovuto giustificare allo Stato che la comunità aveva la capacità di gestire questo luogo che le apparteneva, e da questo Centro di Ricerca siamo stati in grado di valorizzare di più ciò che siamo e abbiamo trovato il fondamento della nostra lotta. La nostra identità di popolo millenario è stata la chiave per andare avanti. Il modello di turismo comunitario a Salango è stato un processo che si è costruito a poco a poco, con le minacce esistenti ma anche con attori che si sono aggiunto e hanno creduto che questo modello si imponesse e consolidasse.
All'inizio, la stessa popolazione pensava che il turismo avrebbe posto fine alla pesca, ma siamo riusciti a fondere questa attività millenaria con il nuovo modello di sviluppo. Attualmente siamo registrati come CTC nella Federazione del Turismo Comunitario dell'Ecuador, Salango offre più servizi turistici, nonostante il fatto che abbiamo un'altra minaccia che è un'azienda di farina di pesce con cui anche la comunità ha avuto a che fare ma nonostante ciò l'attività turistica è cresciuta, senza trascurare la pesca e la cura dei Beni Naturali e Culturali».
Dal mare di Salango un grido si è alzato, contro i soprusi, la violenza, le ingiustizie: ¡nuestra vida, nuestra tierra, lucharemos hasta vencer!