La Colombia "contrainsurgente" di Petro


Nei giorni scorsi, durante un Consiglio dei Ministri, il presidente colombiano Gustavo Petro ha duramente attaccato le organizzazioni sociali del Catatumbo, una regione di frontiera nel dipartimento di Norte de Santander da tempo sotto scacco della violenza, scatenando la reazione indignata dei movimenti e delle organizzazioni sociali, alcune delle quali aderenti proprio a quel Pacto Histórico che ha portato Petro alla presidenza nel 2022.

Gravissime le parole di Petro, pronunciate durante il Consiglio dei Ministri trasmesso in diretta TV nei quali si approfondiva la situazione sicurezza nella regione di Catatumbo, lacerato da una gravissima crisi umanitaria e dalla violenza parastatale e statale: «le organizzazioni sociali del Catatumbo sono permeate, subordinate alle armi». La stigmatizzazione e la criminalizzazione non sono andate giù alle stesse organizzazioni e hanno suscitato aspre polemiche e indignazione perché colpiscono gli attori che più di tutti mettono in gioco la propria vita in difesa del territorio e delle comunità, in un contesto di conflitto armato con uno dei maggiori registri di vittime e sfollati al mondo.

Attivisti, movimenti e organizzazioni sono tutti concordi nell’analizzare la pericolosità delle dichiarazioni di Petro. Per il professore e attivista del Congreso de los Pueblos Jonathan Camargo le parole di Petro sono «un altro schiaffo in faccia a una lunga lista di azioni contro il movimento sociale e popolare. Segnalare le comunità e le organizzazioni di essere funzionali alle armi significa mettere lapidi su migliaia di leader sociali». Camargo segnala inoltre che «i suoi decreti e le sue politiche sono apertamente “contrainsuregentes”, basati sulla dottrina del nemico interno e adattati al saccheggio criminale capitalista». Una dottrina del nemico interno – segnala ancora Camargo – che è «ereditata dalla politica gringa di “sicurezza nazionale” e che consiste nell’indicare le comunità organizzate come “burattini” utili ad altri attori, come se i leader e le organizzazioni fossero dei minori manipolati o sottomessi a un animale esterno».

Preoccupata per la criminalizzazione dei movimenti e delle organizzazioni sociali anche la Escuela Popular de Comunicación Jaime Garzón secondo cui «la giustizia sociale non è segnalare né criminalizzare il popolo organizzato». Scrive ancora la Escuela Popular in un lungo comunicato: «questo fatto dimostra come questo governo ha scelto di dare continuità alla stessa dottrina della sicurezza nazionale implementata da tutti i governi precedenti per almeno 60 anni. Una dottrina che sotto la falsa bandiera di combattere l'insurrezione e sradicare il traffico di droga, ha sviluppato un processo genocida contro il popolo organizzato. È così che, attraverso un intero processo di profilazione, segnalazione, criminalizzazione e registrazione, hanno generato le condizioni per giustificare l'eliminazione fisica o politica e sociale di centinaia di leader sociali, così come l’incriminazione attraverso assemblaggi giudiziari, colpendo non solo gli individui, ma anche le organizzazioni e le comunità nel loro insieme».

Dal territorio in questione, sono arrivate risposte indignate e richieste di rettifica delle dichiarazioni. La Asociación Campesina de Catatumbo (ASCAMCAT) ha ricordato al presidente che «siamo stati la risposta organizzativa a difesa della vita, abbiamo lavorato nella ricostruzione del tessuto organizzativo, abbiamo generato alternative di sviluppo per la regione e presentato proposte per la sostituzione delle piantagioni di coca, denunciamo le pratiche sistematiche di esecuzioni extragiudiziali [...], abbiamo sviluppato meccanismi di protezione e azioni umanitarie contro l’escalation del conflitto armato. Ci siamo mobilitati storicamente a difesa dei nostri diritti [...]. Signor presidente, le chiediamo una rettifica delle sue affermazioni perché acuiscono la stigmatizzazione della nostra organizzazione contadina e approfondisce le condizioni di rischio».

Profonda indignazione e delusione anche dal Comité de Integración Social del Catatumbo (CISCA) un’organizzazione da sempre al fianco di Petro:« Ci dispiace per la svolta drastica che il suo governo ha deciso di dare. Questo governo, di taglio progressista, ha deciso, proprio come hanno fatto i governi di estrema destra, di ignorare l'esistenza del conflitto armato, parlando di "violenze segregate". Lei decreta uno stato di emergenza per militarizzare la nostra regione, già abbastanza colpita dalla guerra e per concentrare il potere come spiegazione dell'incapacità di esecuzione, della mancanza di volontà politica e del comportamento viscerale di alcuni dei suoi funzionari; Lei, cambiando la tradizione dei Ministri della Difesa civili, decide di nominare un militare in questo portafoglio, mentre il movimento sociale, che è stato il suo principale alleato, diventa, da lei, segnalato e stigmatizzato. Tutte queste pratiche sono proprie e attese dai governi di destra, non ce le aspettavamo dal suo governo, signor presidente».

Solidarietà e complicità ai movimenti e alle organizzazioni del Catatumbo è arrivata da due delle più importanti organizzazioni sociali del Paese, il Congreso de los Pueblos e il Coordinador Nacional Agrario. Nel suo comunicato anche il Congreso de los Pueblos segnala che la criminalizzazione dei movimenti è una pratica usata in passato da presidenti come Uribe, Santos e Duque e affermare che ci siano vincoli diretti tra le organizzazioni e i gruppi armati «ci pone come obiettivo di gruppi paramilitari». Inoltre, continua ancora il comunicato, utilizzando queste pratiche, il governo «riafferma la sua rinuncia alla ricerca di una soluzione politica, intesa come il superamento delle cause strutturali che hanno originato il conflitto armato», prima fra tutte lo smantellamento del paramilitarismo.

Da parte sua, il Coordinador Nacional Agrario, respingendo le accuse di Petro, riafferma che queste modalità mettono in pericolo i leader sociali e le comunità contadine del territorio. «Condanniamo e respingiamo queste accuse. Condanniamo e respingiamo anche quelle pubblicate dall’ex presidente Álvaro Uribe dove accusa categoricamente tutti i contadini di essere guerriglieri. Discorsi come questi hanno storicamente giustificato l’omicidio, la persecuzione e l’incriminazione dei leader sociali. Petro e Uribe sono irresponsabili e irrispettosi nei confronti di coloro che dedicano la propria vita alla difesa dei diritti umani e, in particolare, dei contadini».

Anche la Defensoría del Pueblo, un organo istituzionale di difesa dei diritti umani prende timidamente le difese delle organizzazioni sociali del Catatumbo affermando che «non dovrebbe essere il Governo ad approfondire questa stigmatizzazione e questo rischio. Le accuse aggravano la situazione in cui sopravvivono le organizzazioni sociali e i loro leader, e sono servite, sia di recente nel Catatumbo sia storicamente in Colombia, a giustificare crimini ingiustificabili contro la popolazione».

Nei giorni seguenti alle dichiarazioni di Petro, proprio nel Catatumbo, a Tibú, si è tenuto l’incontro della Comisión de Verificación Humanitaria, con le testimonianze di oltre 700 persone. Il report, presentato in conferenza stampa, ha presentato il contesto della regione, che sta «affrontando una crisi umanitaria aggravata dall'escalation del conflitto armato iniziata nel gennaio 2025, quando si sono intensificati gli scontri tra l'ELN e il 33° Fronte dello Stato Maggiore dei Blocchi e Fronti (EMBF)» e ha prodotto alcune richieste: «la rettifica presidenziale delle dichiarazioni che stigmatizzano le organizzazioni sociali; dare priorità al dialogo umanitario per garantire il rispetto dell’Accordo umanitario del 2020 e dei sette standard minimi per proteggere la popolazione; svolgere le opportune indagini e punire i responsabili delle violazioni dei diritti umani, compresi agenti statali e gruppi armati».

Nonostante una relativa tranquillità e stabilità economica, il governo di Petro è in forte crisi: più volte negli ultimi mesi il presidente ha prospettato lo spettro del colpo di stato e lanciato un appello a difendere nelle piazze il suo governo dall’attacco dell’estrema destra colombiana. Ma non ci sono solo le opposizioni a rendere complicato il suo mandato: nelle ultime settimane la tensione all’interno dell’Esecutivo è aumentata tanto che si è giunti al cambio di diversi ministri, non più in linea con le politiche presidenziali.

Come scrive il Centro de Pensamiento y teoria critica Praxis, «dopo due anni non si è ancora consolidata una squadra di governo, ma solo un gruppo di persone che svolgono funzioni, magari guidate dalla comunità politica che rappresentano, così che si mantiene la forma iniziale di un conglomerato disperso di correnti politiche che hanno portato alla vittoria elettorale, un aspetto che da due anni segnaliamo come debolezza strutturale del governo».

Al di là delle dichiarazioni “radicali” di Petro, come quella relativa ai rimpatri forzati ordinati da Trump a gennaio a cui il presidente colombiano si è opposto pubblicamente (ricavandone solo una significativa “vittoria” in termini di dignità dei rimpatriati a cui sono state tolte le catene), il suo governo ha dunque tradito numerose aspettative, in particolare quella relativa al tema della “paz total” e della sicurezza.

Il motivo del naufragio dell’obiettivo della “paz total” promesso in campagna elettorale da Petro è semplice: scrive infatti Giovanny Bermúdez Mendoza su Trochando Sin Fronteras che «il modello di sicurezza e difesa proposto dal governo del Pacto Histórico, nonostante il tentativo di superare la "poca" pace del governo di Juan Manuel Santos (2010-2018), non si è allontanato molto dal dispositivo egemonico di sicurezza umana e multidimensionale proposto dal blocco di potere negli ultimi 30 anni».

La ripresa della militarizzazione del territorio e la stigmatizzazione degli attori che costruiscono alternative reali e concrete nei territori stanno conducendo il Paese a una via senza uscita. E i dati sono lì a dimostrarlo: da quando è presidente (2022) i massacri e il numero di vittime coinvolte, l’assassinio dei leader sociali e dei firmatari degli accordi di pace, gli sfollati interni sono in costante aumento. La paz total passa dalla protezione alle esperienze di lotta e organizzazione nel territorio e soprattutto dallo smantellamento del paramilitarismo, non certo da strategie politiche di contrainsurgencia.

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