Annuncio a sorpresa di Evo Morales che nei giorni scorsi ha presentato formale rinuncia scritta al MAS, il Movimiento Al Socialismo di cui è stato tra i fondatori nel 1997 e leader indiscusso per quasi tre decadi. Quella della rinuncia è forse l'ultima carta che l'ex presidente si sta giocando nel tentativo di provare a ricandidarsi alle elezioni presidenziali che si svolgeranno il prossimo 17 agosto e che si prevede saranno cruciali per il destino del Paese.
L'ennesimo colpo di scena arriva dopo che nei giorni scorsi Morales aveva annunciato di aver trovato l'accordo per essere candidato dal Frente para la Victoria, un piccolo partito politico fondato nel 2009 e dalla storia molto ambigua. Il Frente para la Victoria, infatti, sarebbe un "partito familiare" vincolato alla semi sconosciuta famiglia Rodriguez Calle, i cui esponenti sono stati negli anni scorsi tutti candidati a differenti incarichi pubblici.
Sebbene il FPV si definisca di centrosinistra e indigenista, il suo passato racconta una storia diversa: nel 2010, al debutto sulla scena politica boliviana con le elezioni regionali, il FPV è stato accusato di far pagare le candidature ai propri candidati. Nelle famigerate elezioni del 2019, il figlio del fondatore si è candidato definendosi un "liberal conservatore" e un estimatore di Trump e Bolsonaro. Nelle successive elezioni del 2020, infine, il FPV ha candidato l'imprenditore e pastore evangelico Chi Hyung Chung, il cui programma era ultraconservatore.
Le ombre su questo partito oscurano ancor di più la candidatura di Evo Morales, che è tutt'altro che sicura: sull'ex presidente infatti, pesa come un macigno l'inabilitazione che il Tribunal Supremo Electoral gli ha affibiato a dicembre 2023 quando, attenendosi alla Costituzione - scritta sotto lo stesso Morales - ha giudicato che la rielezione indefinita "non è un diritto umano" come invece pretendeva fosse ritenuta dallo stesso Morales.
Non solo. Da ottobre, sull'ex leader cocalero pesa anche un altro macigno, ancora più grave, quello dell'ordine di arresto emanato dalla Giustizia boliviana per il delitto di tratta aggravata di esseri umani nell'ambito dell'inchiesta sui presunti abusi su una ragazza quindicenne commessi quando era a capo del potere esecutivo nel 2016 (e da cui avrebbe avuto una figlia). Ordine di arresto che attualmente gli impedisce di lasciare la località di Lauca Ñ nel Tropico di Cochabamba, la sua roccaforte, dove è protetto dai suoi fedelissimi.
Sull'abbandono del MAS da parte di Morales è già battaglia di numeri: l'ex presidente ha proclamato che sarebbero già migliaia i membri del MAS che lo hanno seguito e altrettanti quelli che lo seguiranno, mentre dalla sponda arcista assicurano che al momento sono solo cinquecento gli iscritti che hanno seguito l'ex leader. Il MInistro di Governo Del Castillo ha commentato così le dimissioni di Morales: «ci fa un favore enorme. Era un persona che ci stava facendo molto male».
Quale sia la reale portata della diaspora masista la si capirà probabilmente soltanto ad agosto, di certo questa ennesima puntata dello scontro interno allo "strumento politico" del movimento indigeno è al momento l'ultimo atto di una faida iniziata tre anni fa e che ha fatto scendere nubi scure sul destino del movimento. Nubi che probabilmente non si diraderanno con le elezioni, qualunque sia il risultato, perché difficilmente le parti in gioco riusciranno a ricucire questa rottura storica e a far cessare la guerra dei caudillos.