La disabilità e la prigione della “normalità”

Rimango sempre molto infastidito dalla retorica stucchevole sulle persone con disabilità intellettiva, dipinte come persone prodigio, buone, brave, belle, che lasciano sbalordita l’umanità intera con il loro incredibile talento in una qualsiasi attività umana.

Questo affresco “buonista” della disabilità è solo la copertina patinata di un libro al cui interno ci puoi però trovare sofferenze, discriminazioni e orrori vari. E perché no, anche persone con disabilità difficili se non impossibili e a volte pure detestabili.

Perché allora dipingiamo la disabilità sempre come qualcosa di straordinario, unico, irripetibile e bella, dando risalto solo ai talenti, alla capacità di queste persone di riprodurre comportamenti considerati socialmente accettabili? 

Per me la risposta é perché in fondo siamo incapaci di comprenderla davvero e soprattutto accettarla come società e solo dandogli la patina di straordinarietà in positivo è possibile mandar giù il boccone amaro della sua presenza come corpo estraneo all’interno di quella che, con compiacimento per noi stessi e commiserazione per gli altri, autodefiniamo “normalità”.

Tutto il resto sono “solo” ore, giorni, mesi e anni di ostacoli da superare e di sofferenza, da nascondere, da dimenticare, da tenere lontano dai nostri sguardi così sensibili. Dallo schifo che proviamo ogni volta che una persona con disabilità sbava, caga o si piscia addosso, oppure anche solo ci rovina la vista con il suo incedere claudicante, le sue urla o le sue particolarità che ci disgustano. Perché sotto sotto, anche se non abbiamo il coraggio di ammetterlo, la persona con disabilità ci fa schifo.

Oggi ho assistito un bambino con disabilità intellettiva grave, autismo. Un bambino antipatico, cattivo, dispettoso come ce ne sono tanti che non finiscono nelle prime pagine dei giornali specializzati in inclusione perché non fa bello mettere in mostra. Perché la disabilità è anche questo: è brutta, è fastidiosa, è ostica, è stancante, è insopportabile da far venir voglia di urlare con tutto il fiato che si ha in gola per la rabbia.

Ma non per questo deve essere ripudiata o allontanata dalla nostra “bolla”, deve avere meno diritti, meno considerazione, meno visibilità e meno strumenti da mettere a disposizione di chi, con fatica è costretto a camminare al nostro fianco in questo mondo-prigione crudele, incomprensibile e sconosciuto.
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