Nel caos post elettorale e tra le proteste di piazza intervista a due attivisti di Cochabamba.
Da due settimane la Bolivia sta vivendo giornate molto tese e intense. Le elezioni che hanno visto riconfermare presidente Evo Morales con un ridottissimo margine di vantaggio su Carlos Mesa e con sospetti brogli (anche se finora non ci sono prove), sono state il pretesto per il lancio di queste giornate di protesta contro il governo del MAS (Movimiento al Socialismo, il partito di Morales). La narrazione mainstream parla di una resa dei conti tra il governo progressista di Evo Morales che difende il voto indigeno e le forze di opposizione di destra, sostenute dagli Stati Uniti, che puntano al golpe per rovesciare Morales, e di una contrapposizione di classe e territoriale tra le classi abbienti di Santa Cruz che guidano la protesta contro Evo, e le classi indigene più deboli a difendere il voto e la leadership di Morales.
Questa narrazione parziale però non tiene conto di numerosi aspetti, di cosa bolle nelle piazze e in particolare di cosa è diventato il progressismo boliviano, a 15 anni dalla prima vittoria elettorale di Morales. Per comprendere bene i motivi di questa “rivolta” contro Evo, ci siamo fatti raccontare da alcuni attivisti boliviani cosa sta succedendo in questi giorni.
Com’è cominciata questa protesta?
Juan: «Il malcontento generale è cominciato con l’abilitazione forzata per la rielezione di Evo e si è conclusa con la “sottomissione” del Tribunale Supremo Elettorale al governo durante lo scrutinio. Le ciliegine sulla torta sono stati gli incendi nella Chiquitania, dove sono stati bruciati 5 milioni di ettari con l’avvallo dei ricchi cruceños (abitanti di Santa Cruz) poco prima delle elezioni».
Sui media si parla di polarizzazione della società, di piazze di destra che tentano un colpo di stato e piazze di sinistra che difendono Evo e il suo governo. È così la composizione sociale delle piazze?
Juan: «È un po’ più complicato, da entrambe le parti c’è gente di tutti i tipi, indigeni, operai, classe media. E la situazione cambia da città a città. Nella mia città per esempio, Cochabamba, non c’è nessuno che guida le mobilitazioni e nell’ultimo “cabildo” (una sorta di istanza di consulta popolare) non hanno lasciato parlare nessuno che non abbia partecipato ai blocchi, relegando tutti gli attori politici della vecchia generazione in disparte. Hanno parlato tutti giovani sotto i 30 anni e nessuno è stato riconosciuto come portavoce di quella piazza. In altre città è diverso. A Santa Cruz, per esempio, sebbene la mobilitazione riguardi anche qua vari settori della società, alcuni degli imprenditori di destra che non sono allineati al governo hanno capitalizzato e guidato la protesta. A prendere la testa di quel movimento è stato Luis Fernando Camacho, un personaggio che puzza di estrema destra ed è molto pericoloso. Infine, da alcuni giorni i minatori hanno disconosciuto la propria dirigenza, accusandola di essersi venduta al governo, e si sono aggregati alla protesta. Lo stesso hanno fatto i lavoratori manifatturieri. In generale è la popolazione delle città che è scontenta e non vuole saperne più niente del MAS; moltissimi manifestanti non hanno affinità con nessun partito politico, lo stesso Mesa è riuscito ad arrivare secondo alle elezioni perché la popolazione è arrabbiata, non perché sia un buon politico».
María: «La polarizzazione è il discorso di Evo. È vero che le mobilitazioni sono cittadine ma nelle città non esiste solo la destra, ci sono anche le periferie e settori che si sono pronunciati come il settore manifatturiero, gli autotrasportatori e i commercianti. Questi settori sono molto forti e potrebbero sollevarsi contro i blocchi e appoggiare il MAS, ma non lo fanno; tutto è frammentato, smobilitato. Un ruolo importante lo stanno giocando i giovani boliviani che si mobilitano e con le loro moto effettuano i blocchi; sono cresciuti nel processo di cambiamento del MAS, per loro la sinistra è quella logora rappresentata dal governo. Per questo odiano la “whipala” (la bandiera a quadrati colorati rappresentativa dei popoli andini), per questo odiano i contadini o gli indigeni, per le azioni di Evo. C’è di tutto, è difficile dire qualcosa di sensato perché è tutto a fior di pelle, ti costringono a stare dentro al discorso sulla polarizzazione. Inoltre, parte della popolazione è stanca da tempo, ma non si mobilita e non dà il proprio appoggio alle organizzazioni che guidano le proteste perché il loro discorso è molto razzista e omofobico».
Il governo di Morales è considerato di sinistra, eppure ci state raccontando che nelle mobilitazioni di protesta ci sono settori che tradizionalmente dovrebbero appoggiarlo. Come mai?
Juan: «È da qualche anno che si era capito che avevano virato verso destra, è cominciato tutto con il megaprogetto del Tipnis (un’autostrada a tagliare in due un’importante riserva naturale). Il MAS ha stretto un patto con le classi più ricche della Bolivia. Gli stessi incendi “controllati” della Chiquitania avvenuti in estate sono stati fatti per favorire gli imprenditori terrieri di Santa Cruz, alleati del governo: hanno ampliato la frontiera agricola per permettergli di estendere i loro campi di soia. E questo succede da almeno due anni. Parte della destra boliviana è ormai vincolata col governo. Il ministro Quintana per esempio, ha fatto parte delle dittature e dei governi precedenti e oggi è una delle persone più potenti del governo. Ci sono almeno altre due persone nel governo con un curriculum simile al suo, anche se sono meno pericolosi. È un peccato e una delusione quello che è successo con Evo e il MAS. Hanno perso la loro strada e fondamentalmente l’unica cosa che gli interessa è non perdere il governo del paese».
Come si è arrivati a questa crisi?
Juan: «Innanzitutto il governo ha aspettato 11 giorni prima di accettare la revisione con la OEA, che era la richiesta iniziale; poi si è fatto scoprire mentre mascherava lavoratori del ministero come minatori, medici, ecc. Soprattutto si è fatto scoprire mentre organizzava pattuglie in veicoli ufficiali che aggredivano le persone che protestavano, nella maggioranza pacificamente. Tanto il presidente, come alcuni ministri, deputati o senatori, hanno minacciato i cittadini, alcuni arrivando addirittura a dire che non si lamentino poi se i loro figli vengono assassinati. Tutto ciò ha fatto si che cambiasse la rivendicazione della piazza da ballottaggio a nuove elezioni, nella quali non partecipino né Evo, né il vicepresidente García Linera (il MAS invece si, a dimostrazione che le persone sono arrabbiate con Evo, non con il movimento). In molte piazze ora la parola d’ordine è “né Evo, né García Linera, né Mesa”. Nelle città principali, ad eccezione del primo giorno in cui sono state bruciate sedi elettorali, le proteste sono state pacifiche fino a pochi giorni fa. Ma con le minacce e la violenza ogni giorno più dura esercitata dai “gruppi di scontro” mobilitati dal governo con la protezione della polizia, i manifestanti si sono infuriati sempre più. A Cochabamba già due persone hanno perso la vita e 10/20 sono rimaste ferite. Ciò che ha fatto infuriare è stato che le due persone uccise nemmeno stavano manifestando, uno stava tornando a casa dopo la spesa e l’altro stava lavorando col suo moto taxi.
La revisione dello scrutinio promossa della OEA potrebbe aiutare a riportare la calma, legittimando una vittoria o meno di Morales?
Juan: «C’è un punto nel “contratto” tra governo e OEA che genera sfiducia, ovvero che ognuna delle parti potrà ritirarsi dalla revisione quando lo riterranno opportuno. Inoltre ciò che preoccupa è che in questo vertice siano rappresentati solo governo e OEA; e anche se ci fosse il CC (Comunidad Ciudadanas, il partito di Mesa) la società civile resta esclusa. Vale a dire molte persone non hanno fiducia nel governo a causa del referendum, nella OEA a causa di Almagro e nell’opposizione. A quanto sembra, fino a ieri Mesa aveva stretto un patto col governo rispetto alla revisione dei voti, però nelle ultime ore ha fatto marcia indietro perché la popolazione lo stava abbandonando».
Quali sono gli scenari futuri?
Juan: «Ciò che mi preoccupa di più per il futuro è che temo stiamo generando il nostro Bolsonaro nel leader di destra di Santa Cruz, Camacho. Il panorama è complicato, i manifestanti dicono che si sono già fatti prendere in giro una volta e che non succederà più ma il MAS non cederà tanto rapidamente. Credo che la crisi durerà un’altra settimana almeno».
María: «Finora si è vista solo una protesta ben organizzata nelle città; i tentativi di scontro che il MAS ha organizzato sono falliti causando solo 2 morti, ma la popolazione continua ancora a protestare. Tutto è parziale e molto confuso. Il problema e che non c’è orizzonte politico, il MAS ha svuotato l’agenda della sinistra, ha smobilitato le persone, tolto la parola o fatto pressione perché non scendessero in piazza. Hanno prodotto un vuoto politico perché capita anche che nelle piazze chiedano la rinuncia di Evo e di Mesa e nuove elezioni, ma lì terminano le loro rivendicazioni, non ci sono domande di trasformazione sociale. Dobbiamo sperare che le organizzazioni operaie, contadine e indigene si pronuncino con la propria agenda politica: queste organizzazioni lavorano in maniera organica e hanno una base sociale organizzata e politicizzata».
A due settimane dal voto la partita resta aperta. I fatti delle ultime settimane sono la riprova della crisi che ha investito il progressismo di Evo: una crisi che come abbiamo visto è prima di tutto una crisi etica con l’ossessione di rimanere al potere di Evo e il suo tradimento sui temi ambientali legati principalmente alla spoliazione dei territori come punti centrali della metamorfosi. Ma è anche una crisi reale come dimostrano i risultati elettorali: sebbene il MAS abbia ottenuto presidenza e maggioranza, il 47% delle preferenze è la percentuale peggiore ottenuta da Evo nelle quattro elezioni a cui ha partecipato e vinto e rispetto a cinque anni prima sono quasi un milione in meno i boliviani che non lo hanno votato e che ora manifestano il loro malcontento nelle piazze.
La Bolivia è sempre stata una terra di conquista ma anche di conquiste sociali importanti, dalle quali tra l’altro arriva Morales, e la soluzione potrebbe arrivare dalla capacità del popolo boliviano di individuare strade alternative allo stallo attuale, capaci di intercettare il malcontento e di organizzare un nuovo corso includente. Una terza via, fatta di soluzioni condivise, pacifiche e possibilmente femministe, come quella auspicata dal collettivo femminista Mujeres Creando: «Sono le donne che devono scendere in campo ora – dice la portavoce Maria Galindo – per uscire da questa specie di litigio fra galli che non tiene in considerazione il bene comune. Noialtre non giochiamo al potere ma lottiamo per il Paese. Non vogliamo arrivare a governare, ma è la libertà di tutte e tutti che ci importa».
Photo Credit Articulación Feminista Wañuchun Machocracia
Tratto da Global Project