Intervista esclusiva a Marco Antonio Gandarillas Gonzáles, sociologo, ricercatore sui temi ambientali e Direttore del Centro di Documentación e Información Bolivia (CEDIB).
Nell’ultimo mese hanno fatto il giro del mondo le immagini dell’Amazzonia in fiamme. Sotto accusa il presidente brasiliano Bolsonaro che, con le sue politiche estrattiviste in favore delle “grandi corporation del crimine ambientale”, sta portando al collasso questa importante foresta pluviale. L’emergenza incendi non ha colpito solo il Brasile, anche dalla vicina Bolivia, amministrata ormai da 13 anni dal presidente indigeno e progressista Evo Morales, giungono immagini forti di boschi avvolti dalle fiamme.
A differenza di Bolsonaro, Evo Morales a parole ha sempre sostenuto la necessità di salvaguardare l’ambiente, tuttavia, a parte infilarsi la tuta e farsi fotografare nei pressi di qualche incendio, le sue azioni non sembrano essere conseguenti alle dichiarazioni di facciata. A poco più di un mese delle elezioni, alle quali Morales parteciperà dopo aver scavalcato la Costituzione e un referendum che glielo aveva proibito, in un’intervista in esclusiva per Global Project, Marco Antonio Gandarillas Gonzáles, sociologo, ricercatore sui temi ambientali e Direttore del Centro di Documentación e Información Bolivia (CEDIB), ci ha raccontato la pessima gestione degli incendi in Bolivia e il lato nascosto di Evo e del suo progressismo “anti ambientale”.
Nelle ultime settimane il mondo è in apprensione per gli incendi che hanno colpito l’Amazzonia brasiliana. Le fiamme però hanno colpito anche l’Amazzonia boliviana. Puoi raccontarci quale è la situazione nel paese e le risposte date dalle autorità?
Innanzitutto è sbagliata l’idea secondo cui è bruciata solo l’Amazzonia in Brasile. In Bolivia gli incendi hanno colpito varie regioni: solo nel mese di agosto, sono stati devastanti in cinque importantissimi ecosistemi. Per iniziare, il bosco secco Chiquitano, un bosco unico al mondo, è bruciato praticamente quasi tutto. Il secondo ecosistema colpito dagli incendi è la Savana sommersa del Pantanal, un ecosistema che la Bolivia condivide col Brasile; la parte che era nel migliore stato di conservazione era quella boliviana ma ora gran parte è bruciata. E ancora, il cerrado beniano e il cerrado chaqueño. Il cerrado è un ecosistema molto grande che condividiamo con Brasile e Paraguay e anche una parte di questo ecosistema in Bolivia è stato perso per colpa degli incendi. Infine, anche nella Subsavana sommersa del Beni e nello Yungas, nel sud est dell’Amazzonia, ci sono stati grandi incendi. Sono quindi cinque importantissime eco regioni che hanno avuto eventi straordinari di incendi provocati, cosa importante da sottolineare, dall’attività umana. Attività che è stata promossa con misure dirette dello stato boliviano: esiste un decreto, il numero 3973, che è stato promulgato nel mese di luglio, che permette gli incendi “controllati”. Questa misura, per esempio, ha incoraggiato gli allevatori presenti in questi grandi ecosistemi a realizzare incendi che sono diventati incontrollabili anche a causa della grande siccità che sta attraversando questa regione.
Il mondo guarda a Bolsonaro come al responsabile di ciò che sta accadendo per le sue politiche estrattiviste e contro i popoli indigeni. Ma, visto quanto dicevi sul decreto approvato dal presidente, anche Evo ha le sue responsabilità in questa crisi?
Assolutamente. Tra le grandi vittime di questi incendi ci sono state dieci aree protette, quattro a livello nazionale (l’area protetta San Matias, il parco nazionale Otuquis, il parco nazionale Kaa Lya del Gran Chaco e la Estacion biologica del Beni), nel dipartimento di Santa Cruz ne sono andate bruciate tre (la Riserva nel Valle de Tucavaca, Rio Blanco y Negro e Itenez), due a livello municipale (a San Rafael e Santa Rosa) e infine una nel territorio indigeno di Ñembi Guasu. Cosa voglio dire con questo? Che c’è una politica dello stato boliviano di non protezione delle aree di conservazione naturale e una serie di misure per favorire il settore petrolifero e permettere l’estrazione di idrocarburi nelle aree protette. Quest’ultima misura che ti ho menzionato, il decreto 3973, ha dato luogo a “incendi controllati” in zone vicine alle aree protette che ha colpito enormemente il sistema di conservazione. Questo è quello che cercano di ottenere molti attori del potere economico, in Bolivia come in Brasile: le aziende zootecniche, gli agricoltori di soia, le imprese petrolifere o i gruppi minerari, ovvero che vengano tolte tutte le restrizioni ambientali che gli impediscono di realizzare le proprie attività all’interno delle aree protette. Raramente ci sono coincidenze nelle politiche contro la conservazione naturale, in Bolivia come in Brasile e negli altri paesi amazzonici.
Incendi incontrollabili in Amazzonia, Africa e Siberia; ghiacciai millenari che si sciolgono, continenti di plastica in mezzo agli oceani. Siamo sull’orlo del baratro. Da Chomsky a Zibechi in molti sostengono che dobbiamo seguire il cammino intrapreso dalle popolazioni indigene per provare a salvare il pianeta e noi stessi. E mentre in Europa sta crescendo un movimento di giovani ecologisti, il Friday for Future lanciato da Greta Thunberg, ci sono movimenti sociali o indigeni che lottano per la difesa dell’ambiente?
Si assolutamente. E lo fanno in una condizione difficile perché, per i difensori dell’ambiente in Bolivia difendere un territorio dalle politiche di un governo che dice di proteggere la “Madre Tierra”, vuol dire mettersi in grave pericolo, perché lo stato li condanna, li opprime, li criminalizza e genera violenza nei loro confronti. Ti racconto un fatto successo in questi giorni in una delle zone di maggior emergenza per gli incendi, a Roboré vicino al Brasile, dove la popolazione difende da molti anni il territorio dalle miniere impedendone di fatto la costruzione, una zona dedicata al turismo e all’agricoltura. L’anno scorso il governo ha fatto una concessione di terre a un gruppo che in realtà si dedicava al “traffico” di terre; la concessione era di qualche centinaia di ettari e questo gruppo ha subito cominciato a deforestare la zona. La popolazione si è ribellata esigendo un’indagine su questa attività e la fine della deforestazione. In questi giorni di emergenza hanno chiesto l’intervento del governo che è arrivato in ritardo quando quasi tutto era ormai bruciato e ora che gli incendi si sono spenti, il governo si è inventato che sarebbe stata la stessa popolazione locale a provocare gli incendi, non chi ha disboscato ma la popolazione che protegge il proprio territorio. Sono stati arrestati alcuni difensori dell’ambiente e oggi il viceministro del governo ha annunciato che faranno ulteriori arresti, per cercare di mettere paura alla popolazione che si mobilita e che lotta contro gli incendi e la criminalizzazione. Questo succede spesso in Bolivia ai difensori dell’ambiente; succede a chi si oppone alla costruzione di una strada, come pretende fare Evo Morales al centro del più importante territorio in fatto di biodiversità, il Tipnis, o a chi si oppone allo sfruttamento degli idrocarburi, come sta succedendo nel Parco Nazionale di Tariquia, dove le comunità sono mobilitate da febbraio per impedire al colosso Petrobras di sfruttare la nostra riserva naturale. Lo Stato criminalizza chi si oppone a questi progetti. È molto difficile e pericoloso fare il difensore dell’ambiente perché lo Stato è il principale ostacolo per esercitare il diritto di difesa dei territori.
Tra poche settimane ci saranno le elezioni presidenziali in Bolivia e Evo parteciperà dopo aver scavalcato la Costituzione e un referendum popolare che glielo aveva vietato. Ciò che sta passando è oggetto di dibattito nella campagna elettorale e potrà influire nei risultati? Inoltre, i movimenti che i primi anni avevano appoggiato Evo continueranno ad appoggiarlo?
Evo Morales si sta presentando alla rielezione in modo incostituzionale, perché un referendum popolare effettuato nel 2016 glielo ha vietato. Tuttavia ha forzato tutto, ha forzato la legge approfittando del controllo che ha del Parlamento e del potere giudiziario, ha ottenuto di riabilitarsi nuovamente come candidato in una forma completamente incostituzionale. Tra le popolazioni in resistenza ai vari progetti di sfruttamento delle risorse naturali e di estrazione con grave impatto ambientale c’è un grande rifiuto a questa nuova candidatura. Questo processo elettorale è anomalo perché il governo si presenta con un apparato di propaganda molto grande, controllando tutti i media di comunicazione e con il controllo dell’organo elettorale che è a favore del governo e in questi mesi ha avallato le leggi emanate per favorire la candidatura incostituzionale di Evo. Nonostante questo, gli eventi occorsi in questo periodo, gli incendi, hanno prodotto un’enorme mobilitazione sociale quasi tutti i giorni a Santa Cruz, La Paz, Cochabamba e Tarija, denunciando l’incompetenza del governo nel fermare la catastrofe ambientale e denunciando anche gli accordi politici dietro a queste elezioni perché le misure che ho menzionato, per esempio il decreto che permette gli incendi controllati, è stato un accordo voluto da Evo a beneficio dei grandi settori economici per cercare di ottenere la loro legittimità e il loro appoggio che, dall’altro lato non ha a livello sociale e tra la popolazione.
Con il progressismo latinoamericano in crisi, le elezioni boliviane assumono una particolare importanza per gli equilibri di tutto il continente. Ma analizzando gli insuccessi di questi governi, visto dal basso e a sinistra, continua a essere giusto appoggiare Evo e questo modello di progressismo?
Io credo che quello di Evo Morales sia un progressismo anti ambientale, cioè che propone il progresso permanente attraverso lo sfruttamento delle risorse ambientali. Ora però c’è un nuovo conservatorismo nel governo, un nuovo conservatorismo che serra le fila attorno ai settori del potere più conservatori del paese, e dove hanno ottenuto alcune misure favorevoli anche gruppi criminali, gruppi organizzati intorno alla corruzione, delle grandi contrattazioni o le imprese cinesi che hanno un grande protagonismo nelle contrattazioni con lo stato boliviano. Per darti un dato, questi incendi in buona parte sono stati fomentati dal settore zootecnico: giusto una settimana fa il presidente Evo Morales si è riunito a Santa Cruz con l’ambasciatore della Cina e con i rappresentanti delle imprese zootecniche per celebrare la prima esportazione di carne di manzo verso la Cina. Sono patti che fanno vedere un’alleanza tra gruppi economici globali e locali molto conservatori e contrari per esempio ai diritti umani, ai diritti dei popoli indigeni e alla difesa dell’ambiente. Tutto questo è di ostacolo ai loro piani di integrazione commerciale della Bolivia, alla globalizzazione per l’esportazione di materie prime o alla costruzione di grandi infrastrutture.
L’emergenza incendi in Bolivia ha messo in mostra nuovamente tutte le criticità del governo di Evo Morales e di un modello, quello progressista, che si è proposto come anti sistema ma che, una volta giunto al potere ha invece optato per la gestione del sistema stesso, divenendo complice della crisi climatica attuale. Citando uno slogan ambientalista attuale, “non è fuoco, è capitalismo”. Per salvare il pianeta dunque, dobbiamo cambiare il sistema, non il clima. E nemmeno i governi.
Foto di copertina: Isabel Vera Arévalo
Tratto da Global Project