A cinque anni dalla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa, intervista a Luis Tapia Olivares, avvocato del Centro Prodh, una delle organizzazioni di difesa dei diritti umani che ha accompagnato le famiglie dei normalisti desaparecidos di Ayotzinapa.
Sono passati cinque anni dalla tragica notte di Iguala che ha visto sparire nel nulla i 43 studenti di Ayotzinapa. Nella sparizione forzata le vittime sono i desaparecidos ma anche i familiari a cui viene sottratto il proprio congiunto. Innanzitutto, ci preme quindi sapere come vivono i genitori questa terribile e infinita attesa? Qual è la situazione psicologica?
I genitori e i familiari degli studenti desaparecidos di Ayotzinapa continuano a sperare che lo Stato dia una risposta alla loro principale domanda che è sapere dove sono finiti i propri figli. A quasi cinque anni dalla sparizione forzata degli studenti ci sono familiari, nipoti o nonni, a cui i genitori non hanno raccontato della sparizione forzata del proprio figlio per non causargli troppo dolore. I familiari degli studenti infatti hanno sofferto differenti problemi di salute provocati da questa lotta interminabile, dall’esigenza di dover continuare a marciare e a manifestare per chiedere verità e giustizia. Anche per questo nel febbraio 2018 è mancata Minerva Bello, madre di uno dei ragazzi scomparsi. I familiari sanno che il governo attuale si è preso l’impegno di risolvere il caso dei loro figli e che non è responsabile della situazione attuale, tuttavia, il governo precedente ha perso troppo tempo e lasciato trascorrere troppi anni senza fare un’indagine seria e anzi promuovendo una teoria conclusiva, la “verdad historica”, che ha impedito di fare un’indagine accurata e una vera ricerca degli studenti. Di conseguenza, nonostante ci sia molta speranza nell’impegno che si è assunto il governo di López Obrador, i genitori sono stanchi per tutti questi anni in attesa senza ricevere notizie dei propri figli.
Negli ultimi giorni due notizie hanno fatto parlare nuovamente del caso: la scarcerazione di El Gil, seguita qualche giorno dopo dalla scarcerazione di 24 poliziotti, tutti implicati nella sparizione forzata. Notizie che stonano con l’impegno promesso dal presidente AMLO di risolvere il caso. Cosa sta succedendo? Cosa significano queste scarcerazioni?
Le notizie delle scarcerazioni sono degli ultimi giorni, tuttavia, è dall’ottobre dell’anno scorso che sono cominciate le prime liberazioni degli imputati. Tutto questo è la conseguenza delle indagini carenti di serietà e di uso di prove scientifiche, fatte dall’estinta PGR (l’ex Procuraduría General de la República, ora Fiscalía General de la República), guidata da differenti procuratori sotto il controllo dell’ex presidente Enrique Peña Nieto. Vale a dire, l’indagine del “caso Ayotzinapa” si basò in maniera preponderante in dichiarazioni e testimonianze ottenute con l’uso della tortura. La tortura come metodo di indagine è generalizzata in Messico, così hanno concluso diversi organismi internazionali delle Nazioni Unite e della CIDH (Comisíon Interamericana de Derechos Humanos) e tristemente il “caso Ayotzinapa” non è stato un’eccezione. Oltre alla tortura sono state utilizzate altre violazioni ai diritti umani, come arresti e detenzioni illegali e violazioni al diritto di difesa, di conseguenza i tribunali hanno determinato che la maggior parte delle prove presentate dalla PGR sono menomate e le prove restanti non sono sufficienti per sostenere una condanna. Il messaggio del potere giudiziario è che non è permesso l’uso della tortura come forma di indagine e allo stesso tempo riflette la carente e inadeguata indagine realizzata dal governo anteriore basata sulla violazione dei diritti umani. È grave che persone che avrebbero potuto avere informazioni sulla scomparsa degli studenti ritornino in libertà o non vengano arrestate per l’assenza di un’indagine seria.
La sfida del governo attuale è dunque grande perché, per sostenere il caso nei tribunali, deve trovare i colpevoli basandosi solo su evidenze scientifiche a partire, per esempio, dalle analisi delle comunicazioni telefoniche intercorse tra la notte del 26 settembre e l’alba del 27 ottenute con metodi legali. E sarà quindi molto difficile compiere la promessa fatta alle famiglie degli studenti perché dovrà affrontare questa indagine che alla sua base ha errori molti gravi. Tuttavia in una riunione con le famiglie avvenuta il 18 settembre, nella quale era presente il presidente López Obrador, il pubblico ministero della repubblica e il procuratore del caso Omar Gómez, così come altri funzionari del governo federale, le autorità hanno promesso che le indagini riprenderanno basandosi su evidenze solide, serie e scientifiche e non sulle basi della “verdad historica”. Il Presidente della Repubblica ha manifestato un’altra volta il suo impegno di arrivare alla verità come priorità del suo governo, mentre il pubblico ministero si è impegnato ad avere una riunione coi familiari in dicembre per fare il punto e rendere conto dei risultati ottenuti dopo tre mesi di lavoro. In sostanza la liberazione degli imputati del caso è imputabile tutta all’indagine che si è basata sulla violazione dei diritti umani realizzata dal governo di Enrique Peña Nieto.
Ayotzinapa è divenuta subito un simbolo della violenza e dell’impunità che regna in Messico e anche uno dei fronti oppositori più importanti contro il governo di Enrique Peña Nieto, responsabile per azioni ed omissioni della sparizione forzata dei 43 studenti. Nell’era della Cuarta Transformacion il governo si è sempre schierato a fianco delle vittime dando impulso alla nuova Commissione per l’Accesso alla Verità e alla Giustizia e permettendo il ritorno degli esperti del GIEI. Ma in una recente conferenza stampa i genitori hanno affermato che il nuovo presidente avrebbe potuto arrivare alla verità ma non ha voluto. Qual è il rapporto con AMLO e cosa dobbiamo aspettarci dal suo governo in merito al caso?
Il primo decreto che ha firmato Andrés Manuel López Obrador come Presidente della Repubblica è stato quello di ordinare la creazione della Commissione per l’Accesso alla Verità e alla Giustizia nel Caso Ayotzinapa, presieduta dal Sottosegretario per i Diritti Umani Alejandro Encinas e con la partecipazione attiva di tre madri e due padri e delle organizzazioni di difesa dei diritti umani che li hanno accompagnati in questi cinque anni dalla sparizione forzata dei propri figli. Grazie alla creazione di questa commissione, oltre alle riunioni per fare il punto sull’indagine, si è potuti entrare nella caserma del 27° Battaglione di Iguala, dove i familiari hanno potuto sollecitare il Segretario della Difesa dell’esercito messicano a rispondere ad alcune domande fondamentali sul ruolo dell’esercito nei giorni della sparizione forzata degli studenti. Allo stesso tempo la Commissione si è riunita con i rappresentanti della Polizia Federale, con l’ex governatore del Guerrero, con l’ex procuratore generale Iñaki Blanco e con altri funzionari del governo del Guerrero. Un’altra parte molto importante del lavoro della Commissione è l’attenzione alla salute dei familiari dei desaparecidos, che come abbiamo già detto sono molto provati da questa situazione.
Tra le famiglie ci sono differenti posizioni, alcune hanno fiducia nel presidente (per esempio ora il Presidente della Repubblica li ha ricevuti due volte in una settimana) che in più occasioni è stato molto esplicito nel mettersi dalla parte degli studenti, tuttavia altri familiari non chiedono più parole e impegno ma risultati. È passato tanto tempo senza alcuna risposta concreta da parte dello Stato pertanto l’esigenza dei genitori di sapere dove sono i propri figli potrà essere soddisfatta solo se il governo risponderà attraverso le azioni concrete. E visto che al momento questo non è ancora successo, in questo gruppo di familiari rimane lo scetticismo sull’impegno preso dal governo.
Fra tre mesi, a dicembre, ci sarà la prossima riunione e alla scadenza i genitori si aspettano che la procura fornisca dei risultati e che si affrontino alcuni temi rimasti ancora in sospeso: che l’esercito dia le informazioni richieste e che la Polizia Federale faccia il suo lavoro e che sia utile per trovare gli studenti scomparsi.
La lentezza nell’avanzamento delle indagini e gli ostacoli incontrati fanno pensare che la battaglia dei genitori per ottenere verità e giustizia sarà ancora lunga. Quali sono i prossimi passi di questa battaglia?
I prossimi passi del governo saranno i seguenti: per prima cosa il governo di López Obrador si è impegnato con dichiarazioni pubbliche e private a incontrarsi coi genitori ogni due mesi fino a marzo, dimostrando che è priorità del suo governo la risoluzione del caso. Lo stesso presidente ha dichiarato anche che spera che queste riunioni non siano infinite, ovvero che il caso sia risolto prima possibile. Il secondo punto è l’impegno della Procura a riunirsi nuovamente coi genitori a dicembre con dei risultati. La neonata Fiscalía non dipende più dall’Esecutivo (quindi dal Presidente) ma è un organo autonomo per decisione costituzionale, e per questo il procuratore dovrà rispondere direttamente ai familiari sui progressi delle indagini.
Un altro elemento importante è la presenza in Messico di una ex membro del GIEI, Angela Buitrago, che sta realizzando diverse indagini sul caso e il cui lavoro potrebbe essere fondamentale per la risoluzione del caso stesso.
Da parte loro i familiari continueranno a lottare per esigere verità e giustizia. Il 26 settembre, per esempio, è stata convocata una nuova Acción Global por Ayotzinapa. Certamente questa fiducia negli impegni assunti dal governo non durerà molto: i genitori valuteranno l’operato del governo, continuando il dialogo all’interno della Commissione per la Verità e la Giustizia se dovessero esserci risultati o viceversa abbandonando la Commissione qualora gli impegni assunti non dovessero essere rispettati o non dovessero portare a risultati.
Come dicevo non si tratta solamente che il governo si impegni a risolvere il caso ogni volta che si riunisce coi genitori ma che cominci a dare risultati concreti. Le richieste dei familiari sono che le indagini vengano affrontate in modo accurato e legale e che il caso non venga chiuso per le violazioni dei diritti umani, come sta succedendo ora; che siano indagate a fondo la Polizia Federale e la Polizia Municipale di Huitzuco, per le quali esistono forti indizi della loro partecipazione alla sparizione forzata; che si giunga infine a incriminare altre persone responsabili dei fatti che ora invece continuano a restare impunite.
Il quadro che emerge è dunque molto complesso. Da una parte abbiamo le famiglie e le loro legittime richieste di risoluzione del caso e soprattutto l’esigenza di sapere dove sono i propri figli. Dall’altro uno Stato che sembra combattere contro sé stesso. Dando per buona la volontà del governo di López Obrador di chiudere una volta per tutte la dolorosa e insanguinata pagina dello stato criminale a guida PRI e PAN (di cui il caso Ayotzinapa è solo una delle troppe punte dell’iceberg), resta da capire se avrà la forza politica di fare piazza pulita di questo sistema che pare aver infettato in modo irreversibile tutte le istituzioni. Tuttavia, sebbene in molti altri ambiti il governo di López Obrador, non sembra essere così diverso dai precedenti (gestione e sfruttamento delle risorse, megaprogetti, gestione della crisi migratoria), sul “caso Ayotzinapa” sembra onestamente interessato e impegnato ad arrivare fino in fondo e ad ottenere giustizia per le vittime di questo orrendo crimine. Se questo dovesse accadere, come ci auguriamo, sarà merito di questi genitori indomabili, che hanno sfidato il potere corrotto e violento e lo hanno costretto a mostrare la sua vera natura.
Tratto da Global Project