È la tormenta.
Nubi scure e onde prepotenti oscurano la bellezza di una città millenaria da sempre porto accogliente e solidale con i viandanti.
Le prime nubi sono apparse quando una sciagurata panchina si è macchiata della terribile colpa di concedere il suo freddo legno a mendicanti, accattoni e disperati.
Poi sono comparsi i primi venti gelidi e forti, portando indifferenza e ignavia contro chi urlava al degrado alla vista di chi vive in strada, colpevole di disturbare le passeggiate di lor signori.
Fulmini e saette hanno portato infine idee aberranti, le cittadelle della povertà o il rifiuto di adottare misure straordinarie nelle gelide notti d’inverno.
È la tormenta.
È arrivata. È terribile, è devastatrice, porta morte, sofferenza, barbarie.
È la barbarie.
E la barbarie è la morte di un ragazzo, Pateh si chiamava. Diranno che si è suicidato, che ha voluto farla finita, disperato. Non diranno che è stata la tormenta, non diranno che la colpa è di chi respinge, di chi emargina, di chi discrimina.
È la barbarie.
Filmare un ragazzo mentre muore, insultarlo, restare inermi mentre lentamente si lascia sommergere dalle torbide e agitate acque della laguna.
È la barbarie.
Perché non è un evento straordinario, non è una tragica fatalità, non è dovuta a un’emergenza, inventata e irreale.
È la costruzione di una nuova società che avanza, terribile, e vuole impossessarsi del nostro domani e della nostra libertà. Una società fondata sull’emarginazione, il rifiuto, il razzismo. Fondata sull’odio verso il genere umano. Un odio costruito ad arte da chi sull’odio ci vive, incapace di amare.
È triste pensare che tutto questo trovi espressione proprio a Venezia, da sempre città aperta, solidale e accogliente ma che ha trovato nel sindaco imprenditore il suo fedele e ignobile servitore.
Di fronte a questo panorama così tetro non dobbiamo arrenderci perché con la tormenta tutto si muove, tutto cambia.
La tormenta è il segnale che è arrivato il momento di agire, di calare in acqua i remi e lottare contro le onde, di affrontare la barbarie, di organizzarsi, di raggiungere quel piccolo bagliore, di speranza, lì in fondo all’orizzonte, proprio dietro a quella grossa nube minacciosa.
È il momento di costruire un nuovo domani fatto di solidarietà, accoglienza, diritti, autonomia e libertà.
Per Pateh, per tutte e tutti.
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