La candidata indigena tra fantascienza e autonomia

La nebbia avvolgeva San Cristóbal con un velo denso e lattiginoso. I lampioni forvano solo i pochi metri di spazio intorno, senza rischiarare le strade. Leandro, battendo i denti, accelerò il passo. Ma invertì la marcia quando udì dei clamori in direzione opposta al centro storico. giunto in fondo a calle Ortiz de Domínguez, intravide delle figure che sbucavano dalla bruma, meno spessa in quel punto. erano di statura bassa, portavano giubbe vagamente militari, il volto coperto da passamontagna, e... fucili in pugno e cartucciere a tracolla. (1)

Da quella notte che dava inizio al 1994 e al Trattato di libero commercio tra Nord America e Messico, meglio conosciuto come NAFTA, gli zapatisti ci hanno abituato alle sorprese. Di più, l’influenza che hanno avuto sui movimenti sociali di tutto il mondo è stata determinante nella teorizzazione di un altro mondo possibile e nella costruzione di pratiche di lotta. Nelle ultime settimane si è tornato prepotentemente a parlare di zapatisti e del Subcomandante Marcos, oggi Subcomandante Galeano, per una proposta definita “assurda” e a prima vista contradditoria, che l’EZLN ha fatto al Congreso Nacional Indigena (CNI), ovvero partecipare alle elezioni presidenziali del 2018 con una candidata indigena donna. Apriti cielo, si è scatenato l’inferno. Illustri firme del giornalismo messicano e non hanno analizzato la coraggiosa iniziativa dell’EZLN e del CNI sotto ogni punto di vista, il più delle volte però ponendo l’accento sulla carismatica figura del Subcomandante Galeano. Gli attacchi più duri, neanche a dirlo, sono giunti da sinistra: fiumi d’inchiostro sono scorsi per commentare la proposta indigena e per evidenziare presunti errori strategici commessi dal Sup. Non sono mancati nemmeno gli insulti, come traditore, o le accuse più svariate, da alleato di Salinas de Gortari (del corrottissimo partito PRI) a responsabile delle sconfitte elettorali del caudillo progressista Lopez Obrador (AMLO) e per questo complice della narcoguerra che ha provocato oltre 150 mila vittime e oltre 30 mila desaparecidos negli ultimi dieci anni.

Questa ricostruzione dei fatti, ci trova assolutamente in disaccordo e tali accuse ci sembrano assolutamente infondate, spregiudicate e fantasiose perché, partono da un presupposto che non possiamo accettare, ovvero che l’EZLN non sia quello che per oltre vent’anni abbiamo imparato a conoscere condividendo lotte e pensieri anticapitalisti, ma sia un’organizzazione verticistica dove a comandare è il Sup e dove non esiste l’orizzontalità delle decisioni. Negare il ruolo fondamentale dell’organizzazione indigena, con le sue strutture e le sue assemblee, negare il mandar obedeciendo (comandare obbedendo) a nostro avviso significa parlare di fantascienza e negare la realtà della quotidianità zapatista, che si fonda sulla continua costruzione dell’autonomia attraverso anche una presa delle decisioni dal basso. Non possiamo nemmeno accettare la suggestione secondo cui le decisioni politiche degli zapatisti (in particolar modo la Otra Campaña del 2006), siano la causa di dieci anni di narcoguerra e che hanno causato le migliaia di vittime e di desaparecidos. Accettare questa visione significherebbe creare un pericolosissimo precedente per tutti i movimenti, vale a dire la possibilità di essere ritenuti responsabili delle azioni violente e della repressione dei governi contro cittadini e movimenti. Un’idea folle appunto, una posizione inaccettabile sotto tutti i punti di vista, a cominciare dal fatto che questa visione è fondata su tesi complottiste e colme di odio e razzismo e senza uno straccio di prova se non assurde interpretazioni della storia zapatista degli ultimi vent’anni. Infine, fa sorridere leggere di fantomatici secondi fini del Sup e degli zapatisti, come se lo scopo della loro lotta fosse far vincere il PRI/PAN in cambio di elemosina e di pace nei propri territori (la conosciamo tutti la “pace” del governo messicano nei territori ribelli, vero?) e vendendo il resto dei movimenti messicani pur di ottenere questi “benefici”.

Quest’analisi inoltre dimentica un fatto importante. Come scrive Raul Zibechi, “Né gli zapatisti né il CNI entrano nella contesa elettorale. Non propongono di presentare candidati a deputati e senatori, né sindaci né governatori. Solo una candidata alla presidenza. Questo punto è di cruciale importanza.” (2) Non è una sfida per il potere, è una sfida al potere, come lo è stata la Otra Campaña del 2006. È una sfida che parla di resistenza, rivoluzione, autonomia, organizzazione desde abajo por los de abajo. È una sfida che costruisce un percorso difficile e irto di ostacoli al di fuori della politica ufficiale, dei caudillos illuminati e dei partiti/movimento o dei movimento/partito. È un’altra storia che non mira, ancora una volta, alla presa del Palazzo d’Inverno ma a costruire dal basso una società in grado di organizzarsi, di gestirsi e di resistere in libertà e autonomia, al di fuori di un sistema violento e distruttore. È un cammino per unire la resistenza e la ribellione di ogni territorio, fianco a fianco con chi ogni giorno lotta per l’esistenza e la dignità, con chi si oppone all’idra capitalista da nord a sud e da est a ovest, sia esso un maestro contrario alla riforma educativa, sia un indigeno contrario alla costruzione di una grande opera sulla propria terra, sia un lavoratore che chiede diritti e un salario giusto, sia un migrante che desidera solo continuare a correre e a sognare. È un percorso che vuole anche essere d’esempio per altre geografie e altri calendari, il contributo indigeno alla lotta contro il sistema capitalista.

Non è di secondaria importanza nemmeno la decisione di candidare una donna indigena, il cui corpo porta i segni delle subalternità di razza e genere. Questa candidatura pone all’attenzione pubblica il problema del razzismo e dell’emarginazione dalla società che vivono i popoli indigeni e al tempo stesso la questione di genere in un paese, il Messico, dove i femminicidi e le violenze contro le donne sono in costante aumento: stime recenti parlano di 7 femminicidi al giorno e di una percentuale altissima, il 70%, di violenza familiare subita dalle donne. Il capitalismo usa la violenza come strumento per annientare le popolazioni in resistenza e il femminicidio rientra in questa perversa logica sistemica di morte. La candidata indigena è invece antisistemica, non ha nulla a che fare con Hillary Clinton o Margarita Zavala (la possibile candidata del PAN nonché sposa dell’ex presidente Felipe Calderon), è colei che, a differenza delle su citate signore cooptate al sistema per rivendicare le quote rosa, rappresenta il dolore e le violenze subite ma anche la resistenza, la tenacia e il coraggio di sfidare il mostro.

Sebbene sia una decisione inaspettata, non c’è motivo per credere che sia il viatico per un cambio di rotta dell’esperienza zapatista. Scrive Federico Larsen: “Il rischio alla cooptazione, burocratizzazione o alla repressione e annichilimento sono alti. Gli esempi nella storia sono molti per giustificare il timore a qualsiasi di queste opzioni. Tutto sta negli anticorpi che i movimenti hanno potuto elaborare durante la propria costruzione sociale nei territori. E lo zapatismo, per lo meno a prima vista, ne tiene a sufficienza”. (3) Non è però solo una questione di anticorpi. Ed è lo stesso comunicato di lancio a spiegare che si tratta di un atto di resistenza, a fronte di un attacco mortale portato dal sistema capitalista alle comunità indigene. Per quest’attacco che mette a rischio la sopravvivenza stessa delle comunità indigene non esiste una ricetta progressista in grado di mutare il corso degli eventi. Sempre Zibechi fa un’analisi abbastanza chiara di cosa siano in realtà i governi progressisti del continente: “Sono governi che dicono a sé stessi di essere di sinistra o progressisti, anche se alcuni intellettuali li definiscono postneoliberali. Dicono che sono scesi in campo per ridurre la povertà e la disuguaglianza e promuovere la distribuzione del reddito. È tutto falso. La povertà è diminuita perché c’è stato un ciclo positivo dell’economia; inoltre la disuguaglianza non è diminuita se si prende in considerazione l’accumulazione di ricchezza dell’1% e non le entrate salariali delle diverse classi. Questo vuol dire che l’oligarchia al potere ha continuato ad accumulare in grandi proporzioni, anche se sono cresciuti pure altri settori, i quali hanno contribuito a creare il miraggio che si può diminuire la povertà senza toccare la ricchezza. Se dovessi definirli, direi che sono governi che amministrano il modello capitalista nella sua fase finanziaria, vale a dire ciò che chiamiamo estrattivismo o ‘accumulazione per spoliazione’. L’unica differenza con il periodo precedente è che non è più necessaria la privatizzazione perché l’accumulazione di ricchezza si verifica in altri settori. Altra conseguenza è che hanno acutizzato il capitalismo attraverso l’inclusione di fasce deboli della società con il consumismo.” (4)

Venuta meno la congiuntura economica positiva, sono venute meno anche le risorse economiche destinate ai settori più poveri della società, ed è cominciata la crisi, anche politica, del progressismo. AMLO rappresenta tutto questo, rappresenta il “meno peggio” che si traduce con il mero assistenzialismo ma anche con legami forti con le élite economiche e finanziarie che, come dice Zibechi, aspirano appunto solamente a governare i processi capitalisti e non a sovvertirli. Anche le recenti elezioni americane mettono in luce questo fatto incontrovertibile: non c’è più spazio per il meno peggio, non c’è più spazio per le parole svuotate di significato pratico del progressismo mondiale; c’è bisogno di osare, c’è bisogno della radicalità, di un cambiamento reale. È questo ciò che ci dice l’iniziativa di EZLN e CNI: è una candidatura fuori dagli schemi e dalle logiche di partito, è una candidatura fuori dai giochi delle élite della rappresentanza e della delega. È una candidatura autonoma, libera che mette al centro delle scelte le comunità resistenti e organizzate. È una candidatura che parla ai movimenti e che indica una reale alternativa di lotta, significa al tempo stesso costruire percorsi e reti dal basso e mettere fuori gioco i professionisti della politica.

Una lettura interessante e riassuntiva della scelta degli zapatisti la propone il giornalista Luis Hernandez Navarro: “Nessuno detiene il monopolio della rappresentanza politica della sinistra messicana. Questa rappresentanza si guadagna giorno per giorno con la lotta. Accusare gli zapatisti e il CNI di fare il gioco del governo perché vogliono partecipare alle elezioni del 2018, al margine dei partiti politici, è una dimostrazione di prepotenza e intolleranza. In fin dei conti, sarà la società messicana in generale e le popolazioni indigene in particolare coloro che decideranno se questo percorso è utile o meno per trasformare il paese”. (5)

Costruire dal basso percorsi rivoluzionari, organizzare la resistenza, praticare l’autonomia. Tutto questo è presente nella scelta dell’EZLN e nel DNA dei movimenti che aspirano a lottare contro il sistema capitalista. Lasciamo ad altri le chiacchere e la convinzione di rappresentare società civile e movimenti. Noi, come sottolinea il Subcomandante Moises nel penultimo comunicato, “stiamo con la gente in basso e a sinistra, la gente che lotta, pensa, si organizza, la gente che resiste e si ribella”. (6)

1. Tratto da Demasiado Corazon di Pino Cacucci, marzo 1999, Feltrinelli Editore
2. Tratto da Naiz
3. Tratto da Nodal
4. Tratto da Hora25
5. Tratto da La Jornada
6. Tratto da Enlace Zapatista

Pubblicato su www.globalproject.info
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