In Siberia


C’era il caffè da preparare ogni sera. Due, tre, quattro moke grandi per riempire i termos. E poi il the e la cioccolata. Quanto odiavo la cioccolata, si bruciava sempre dentro la pentola e faceva comunque un profumo buonissimo, che ti invogliava a berla ma ti lasciava un retrogusto terribile. Insieme alle merendine, dopo tre mesi finivi per intossicarti.

E poi i letti da preparare per chi faceva il turno di notte. E sistemare le coperte da distribuire in furgone. E la guerra per la giacchetta arancione da operaio stradale: di taglie piccole ce n’erano sempre poche e si finiva sempre per strapparsele a vicenda.

Il balsamo di tigre o il sapone delle lavanderie automatiche, sempre a portata di naso perché a volte l’olfatto era messo a dura prova. Fazzoletti e guanti in lattice in caso di necessità, cappello e guanti spessi per proteggersi dal freddo.

E poi si partiva, il ducato rosso de me nono ci metteva una vita a scaldarsi e nelle fredde e umide serate mestrine non era certo il più confortevole dei mezzi.

Il tempo di mangiare un boccone e di finire di guardare i Simpson e poi iniziava il giro. A Venezia tra calli e campielli, a Marghera sotto i cavalcavia e soprattutto a Mestre, alla stazione dei treni.
Quanti disperati, quanti sfortunati, quanto disagio, quanta umanità sconfitta. Tanta disperazione ma anche tanta dignità. A volte anche tanta pazzia. E a volte pure dei pezzi di merda. Ogni persona una storia, una vita da raccontare:

- Sergio, tu sei vecchio, la notte devi riposarti.
- Vecia mia, go fatto el marinaio in Australia che non eri ancora nata… la notte è fatta per amare!

- L’altro giorno sono andato a Parigi.
- Ah si, Trouffaut? E come ci sei andato?
- È semplice, ho pensato intensamente che volevo andare a Parigi e ci sono arrivato. Io viaggio sempre così!

Momenti felici, altri meno, tensioni, minacce per un posto letto non dato, disperazione e rassegnazione e pure lei, la nera signora, a strappare il sorriso a un uomo che proprio quella mattina avrebbe ricominciato a vivere.

Sono flash, scatti in bianco e nero nella memoria che fanno fatica a sbiadire. E non potrebbe essere altrimenti, un’esperienza unica, irripetibile, emozionante. Senza dubbio la più giusta ed etica, a fianco degli ultimi, a fianco di chi lotta per la sopravvivenza.

Perché ogni persona ha diritto a un tetto sopra la testa.
Perché ogni persona ha diritto alla dignità.
Perché ogni persona ha diritto a non morire di freddo, da sola e in strada.

È da un po’ che non torno in strada nelle fredde notti d’inverno.
E mi manca.
Ma sono felice che al mio posto altre compagne, altri compagni, riscaldino la Siberia di diritti, umanità, accoglienza e solidarietà.

(alla faccia di quei quattro stronzi razzisti che spiano, denunciano e molestano chi vive in strada e che pensano di risolvere il problema dei senza dimora allontanandoli dalla loro sporca vista).

Buon lavoro compagne/i


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