Faceva un caldo soffocante. Steso sull'amaca e infilato in due sacchi a pelo, spurgavo sudore mentre cercavo di sbirciare dalla porta aperta della capanna di legno che mi accoglieva. Lì fuori, nel mezzo del prato più verde che abbia mai visto, i bambini si rincorrevano urlando e ridendo e si arrampicavano sugli alberi a raccogliere frutti sconosciuti. Guardavo fuori e sorridevo. Ero in un luogo meraviglioso, non poteva succedermi niente di male. Poco fuori dalla porta della capanna c'erano mio fratello Enrico e i miei compagni di viaggio che invece guardavano preoccupati il termometro che segnava i 41 gradi abbondanti. da tre ore la temperatura continuava a salire senza darmi tregua... Io ero tranquillo ma tremavo. Il paliacate zuppo sulla mia fronte si asciugava in meno di un minuto e io vedevo sempre più offuscato attorno a me. La testa pulsava ferocemente.
Mi era già successo da bambino di perdere conoscenza e delirare, ma lì ero al sicuro, tra le cure confortevoli dei miei genitori. Gli impacchi di acqua ghiacciata avevano scongiurato il peggio e una buona dormita avevano riportato la situazione sotto controllo. Casa per me è questo, un rifugio sicuro, dove trovo certezze, amore e fiducia.
Ora era differente, la situazione non era affatto sotto controllo. No, ero nella Selva Lacandona, a due ore dalla clinica degli Zapatisti e a tre ore dal primo ospedale ed eravamo senza medicine. La selva inghiotte il villaggio, poggiato su una piccola piana e circondato dalle montagne. La vegetazione è intensa, prorompente, colorata, infinita e anche opprimente.
Fa caldo, tanto caldo ed è umido, tanto umido. La mattina al risveglio, l'umidità ti avvolge, ti soffoca, ti fa credere che il sole non splenderà mai più. E invece poi, lentamente, eccolo che esce, dirada la nebbia che avvolge la valle e comincia a battere e a scottare, sempre più forte. E allora riesci a ricostruire la tua presenza. Sì, sei lì, nel mezzo della Selva, nella Valle dei frikkettoni, dove tutto è immobile, separato dal resto del mondo, dove perfino l'ora è differente. Ecco, questa cosa dell'ora non l'ho mica ancora capita bene ma, più o meno, dovrebbe essere così: c'è l'ora de dios, che è l'ora solare, poi c'è l'ora del malgobierno, un'ora indietro e poi c'è l'ora rebelde, esclusiva de La Realidad, un'ora avanti. Alle richieste di spiegazioni, rispondono sempre con un evasivo "asì es". Pare, da tempi immemorabili.
Pensavo a questo nei miei vaneggi febbricitanti. Pensavo a questo e a molto altro, ma tenevo i pensieri per me. Sapevo che parlare a casaccio avrebbe solo alimentato le ansie dei miei infermieri. Ogni tanto qualcuno mi faceva delle domande, non ricordo bene, credo vertessero sul mio stato di salute. E la mia risposta credo fosse che stavo bene, e che avevo sonno; parola più, parola meno.
Ricordo invece chiaramente l'ansia di mio fratello Enrico. E' più grande di me, si sentiva in dovere di prendersi cura del fratello minore, ma fino a quel punto ero stato io a guidarlo tra le nuvole del Messico. Ora aveva la sua rivincita.
Ricordo chiaramente, dicevo, la sua ansia, il voler spaccare il mondo e prendere una decisione, qualsiasi essa fosse. Doveva salvarmi, la Selva messicana non mi avrebbe avuto. Così, quando arrivò il ragazzino promotore di salute della Comunità, non ricordo più il suo nome, intravidi un sorriso allarmato. Probabilmente deve aver pensato: "E questo chi cazzo è? Mio fratello sta morendo e questi mi mandano sto sbarbato?" E' così Enrico, tragico su tutto. E mentre lui si faceva prendere dall'ansia senza in definitiva concludere niente, la nostra capo carovana, cercava di spiegarmi ciò che il promotore di salute stava dicendo. Il consulto medico diede rapidamente il suo verdetto: il rio. Non c'erano altre possibilità, se volevo salva la vita, dovevo immergermi nel rio per far abbassare la temperatura! Enrico quasi non ci credeva. Io gli dicevo di star tranquillo, di non preoccuparsi e di portarmi a fare il bagno, ne avevo davvero voglia ora.
Non mi reggevo in piedi, completamente afflosciato, mi lasciavo trascinare da Enrico e da Gianmarco come un moribondo sul campo di battaglia, mentre dietro ci seguiva impassibile il promotore di salute che discuteva placidamente con il mio nutrito seguito. Beh ecco, ho davvero tanti ricordi indimenticabili, emozionanti, fantastici del Messico, ma nessuna sensazione è pari a quella che ho provato immergendomi nel rio. Benessere. Stato di pura pace. Il freddo scomparve di colpo, mi sentivo come se stessi irradiando il rio stesso di pura energia e calore, come se mi stessi liberando di una grande forza che mi possedeva. Immersi pure la testa più volte e ogni volta che la tiravo su, la gente attorno a me cresceva. Prima i miei compagni di avventura, poi piano piano i bambini curiosi che se la ridevano a crepapelle, i ragazzi e infine si era assiepata una discreta folla. Stavo diventando famoso. Sarei stato lì volentieri ancora per molto tempo ma il mio promotore di salute ad un certo punto mi intimò di uscire. Contro voglia obbedii e, anche un po' incredulo, mi avviai con le mie gambe verso la capanna, dove c'era la mia amaca. Un rapido consulto al termometro, la situazione era tornata sotto controllo.
Proprio allora, sdraiato in amaca guardando fuori dalla porta socchiusa i bambini che avevano ricominciato a giocare sul prato, rincorrendosi e gridando, mi soffermai a ripensare a quel momento in cui ero in acqua e attorno a me si era radunata una piccola folla. Mio fratello, i miei compagni, gli zapatisti, persone che conoscevo poco o che non conoscevo nemmeno. Mi son dovuto correggere. No, non era differente, qui ero al sicuro, qui era casa, qui c'era sicurezza, amore, fiducia. Qui trovavo una nuova casa, un posto che sarebbe stato per sempre mio, tra i miei compagni di viaggio e di avventure, tra le sorelle e i fratelli zapatisti, con chi giorno dopo giorno immagina e costruisce una vita di felicità, dignità e giustizia.
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Racconti