Aquí en la lucha, la mobilitazione nazionale per trasformare la Colombia

Trasformare la Colombia, “qui nella lotta”: da una settimana una nuova mobilitazione nazionale ha invaso le strade e le piazze del Paese con l’obiettivo di far fronte alla gravissima crisi umanitaria e per costruire dal basso alternative compatibili con la vita.

Sono decine le organizzazioni sociali, popolari, le popolazioni originarie che hanno costruito insieme la convergenza Aquí en la lucha dove «non si reclamano solo politiche pubbliche o compimento di accordi, si reclama soprattutto un’etica popolare, una forma di capire la politica dal basso dove la dignità non si negozia».

Per la prima volta da quando è presidente, Petro deve affrontare una mobilitazione nazionale contro il suo governo, colpevole di non aver smantellato un sistema politico fondato sulla spoliazione e sulla violenza paramilitare e di non aver adempiuto alle promesse e agli accordi presi con le organizzazioni sociali che lo hanno portato alla Casa de Nariño nel 2022.

I motivi ci sono tutti: secondo le organizzazioni sociali e indigene, il Paese sta attraversando una profonda emergenza umanitaria che mette in pericolo l’esistenza stessa della popolazione. Uno dei temi centrali della protesta infatti è la richiesta dello smantellamento del paramilitarismo e della dottrina della sicurezza nazionale con la quale lo Stato identifica un nemico all’interno nel proprio popolo e lo combatte come se fosse in guerra.

I dati della ONG Indepaz parlano chiaro: dalla firma degli accordi di pace del 2016, sono stati assassinati 1861 leader sociali e nei 679 massacri compiuti in tutto il territorio nazionale altre 2474 persone hanno perso la vita. Nonostante un lieve calo, i dati sono drammatici anche per il 2025: 156 leader sociali assassinati e 206 persone uccise nei 63 massacri compiuti.

Gli altri punti dell’agenda di Aquí en la lucha sono il rifiuto del genocidio e dell’imperialismo, la soluzione all’emergenza umanitaria e la difesa dei diritti umani, la difesa della sovranità popolare della Nostra America e del Caribe e, infine, che siano portati a compimento gli accordi e le trasformazioni per la pace nel Paese.

Dal comunicato di lancio della mobilitazione nazionale possiamo leggere: «convochiamo alla mobilitazione etica, politica e popolare. Che le nostre strade si riempiano di bandiere e voci che chiedano la cessazione del genocidio del popolo palestinese e l'occupazione del suo territorio, che condannino la violenza imperialista e le sue dottrine che uccidono popoli e culture; chiediamo il rispetto incondizionato della sovranità della Nostra America e la costruzione di un ordine internazionale veramente al servizio della vita e non del capitale.

Chiamiamo a mobilitarsi per il rispetto degli accordi e delle promesse di cambiamento che sono ancora in sospeso, per dare dignità alla vita di tutti i popoli. Per l’eliminazione della dottrina di sicurezza nazionale e per esigere lo smantellamento del paramilitarismo. Per chiedere azioni concrete che garantiscano la costruzione della sovranità nazionale e popolare. Affinché si risolva l’emergenza umanitaria che stiamo vivendo. Per la difesa dei diritti umani e affinché cessi il genocidio contro i popoli. Per la partecipazione sociale alla costruzione di trasformazioni per la pace. Per un paese dove la difesa della via e della giustizia sociale facciano parte della vita quotidiana».

Dal 13 ottobre le proteste e i punti di resistenza proseguono in diversi punti del Paese, dai dipartimenti più colpiti dal paramilitarismo come il Cauca, Valle del Cauca, Chocó, Antioquia, Arauca, fino alla capitale Bogotá dove nei giorni scorsi sono arrivati oltre due mila manifestanti che sono riusciti ad occupare diversi edifici governativi, tra cui il Ministero della Casa.

In risposta a questa azione simbolica dei movimenti il ministro dell’Interno Armando Benedetti ha dato riprova che la Colombia en la lucha ha ragione: «è ovvio che c’è una struttura criminale dietro a questa protesta» ha dichiarato criminalizzando e stigmatizzando la protesta.

Poche ore dopo all’attacco del ministro dell’Interno ai movimenti di Aquí en la lucha, la vecchia ESMAD (ribattezzata Unidad de Diálogo y Mantenimiento del Orden ma pur sempre squadroni dediti alla repressione violenta), reprimeva le comunità in resistenza a La Delfina nel dipartimento di Valle del Cauca per liberare la strada dal blocco messo in atto dai manifestanti.

Il giorno successivo, in una nuova mobilitazione a Bogotá che si dirigeva verso l’ambasciata degli Stati Uniti, ancora una volta la polizia ha risposto con la repressione a cui sono seguite le parole stridenti del Presidente Petro che ha rivendicato l’azione di “protezione” dell’ambasciata.

Nonostante questi atti di repressione, il movimento Aquí en la lucha è riuscito ad ottenere una vittoria importante: sedersi al tavolo del dialogo con il governo per cercare soluzioni reali alle esigenze della popolazione mobilitata: «oggi celebriamo la forza della dignità di migliaia di persone. Questo dimostra che solo la mobilitazione rende possibile i cambiamenti. Questa giornata è una vittoria popolare, una dimostrazione che il popolo organizzato ha potere, ha voce, ha la capacità di guidare il cambiamento», sottolineano dall’assemblea di Aquí en la lucha.

Una prima piccola ma significativa vittoria, dunque. Perché come conclude l’appello di lancio della mobilitazione «la dignità non si mendica, si conquista nelle strade, con la mobilitazione, nell’articolazione e nell’unità dei popoli».

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