Leonidas Iza, ex presidente della Conaie ed ex candidato presidenziale per Pachakutik alle ultime elezioni, nei giorni scorsi ha subito un tentativo di assassinio da parte di agenti dello Stato ecuadoriano. Quegli stessi agenti, scoperti e fermati dagli abitanti della comunità di San Ignacio nella provincia di Cotopaxi dove il leader indigeno risiede, sono stati giudicati dalla Giustizia indigena e quindi espulsi dai territori della comunità.
A denunciare il gravissimo atto di persecuzione politica è stato lo stesso Iza in una conferenza stampa indetta nella comunità di San Ignacio e poi divulgata sui social: «il veicolo proveniente da Ambato in cui erano presenti un autista e gli agenti, è passato una prima volta davanti alla mia casa filmando. Successivamente sono passati altre due volte sempre filmando. La terza volta che sono passati filmando ho deciso di scendere in strada e fermare il veicolo che stava venendomi incontro a tutta velocità e se ci fosse stata la stessa polizia alla guida del veicolo sicuramente sarei stato assassinato.
Fortunatamente i poliziotti sono venuti nella comunità noleggiando un mezzo con autista, il quale si è fermato nonostante i poliziotti continuassero a urlargli “passa, passagli sopra”. Quando il mezzo si è finalmente fermato, ho urlato “che fate qui?, chi siete?” ma i poliziotti non si sono fatti identificare. Successivamente, in un procedimento interno, mi hanno detto che sono venuti a salvaguardare la mia vita, che sono poliziotti, perché vogliono attentare alla mia vita, ma in un secondo momento hanno detto che, poiché ho rilasciato dichiarazioni pubbliche, il Governo Nazionale, le autorità superiori di questi poliziotti, hanno ordinato di effettuare un monitoraggio dettagliato».
La denuncia è stata subito rilanciata dal MICC, il Movimiento Indigena y Campesino de Cotopaxi del quale Iza è stato presidente per molti anni prima di assumere lo stesso ruolo alla Conaie, il quale in un comunicato ha puntato il dito contro «il governo di Daniel Noboa per la persecuzione politica a vari dirigenti indigeni e il codardo tentativo di assassinio contro il compagno Leonidas Iza […]. Questo crimine - prosegue il comunicato - non è un fatto isolato, è la continuazione di una politica sistematica di persecuzione, intimidazione, minacce di morte e discredito contro le nostre strutture organizzative e contro chi alza la voce di fronte a un governo servo delle élite economiche. Responsabilizziamo direttamente Daniel Noboa e il suo governo per qualsiasi attentato alla vita e all’integrità di Leonidas Iza e dei nostri dirigenti, quello che stiamo vivendo non è democrazia, è la dittatura dei ricchi mascherata, sostenuta dalla violenza statale e dalla paura».
Nelle ore seguenti in una nuova conferenza stampa, Iza ha ribadito la sua versione: «la sera di lunedì 18 agosto, intorno alle 14:40, tre agenti di intelligence sono stati intercettati nei pressi della mia abitazione nella comunità di San Ignacio, settore Planchaloma della parrocchia Toacaso, provincia di Cotopaxi, mentre svolgevano attività di sorveglianza, scattando foto e registrando video delle mie attività senza previa autorizzazione né con la conoscenza dell'autorità comunitaria». Sono stati poi pubblicati alcuni video dei telefoni degli agenti fermati dalla comunità indigena, tra i quali i video del pedinamento a Iza e screenshot dei messaggi tra gli agenti coinvolti e i loro superiori nei quali viene espressamente richiesto di seguire Iza.
La gravità del fatto ha spinto le comunità indigene a reagire in maniera determinata: attraverso la UNOCANC, un’organizzazione indigena filiale del MICC, le comunità hanno deciso collettivamente di attivare il meccanismo della “giustizia indigena comunitaria”, che è un diritto dei popoli e delle nazionalità indigene garantito dalla Costituzione ecuadoriana e da sentenze e trattati internazionali. Nei tre articoli della Costituzione, si ratifica innanzitutto la giurisdizione territoriale indigena, elemento fondamentale che permette ai popoli e alle nazionalità indigene ecuadoriane di esercitare l’autorità nei propri territori. Infine, l’art. 76 impedisce che qualcuno venga giudicato due volte per la stessa causa, riconoscendo la validità della giustizia indigena.
Ovviamente il governo non è rimasto a guardare. Se è stato zitto di fronte alla denuncia di Iza, non ha fatto altrettanto con il fermo dei tre poliziotti. Attraverso la Fiscalía General del Estado, ha provato a minimizzare l’accaduto cercando di smentire chebla presenza dei poliziotti nella comunità fosse per Iza: gli agenti, recita il comunicato, «stavano collaborando nell’ambito di un'indagine precedente». La Polizia, dal canto suo, ha richiesto un habeas corpus alla procura di Latacunga nel tentativo di liberare i tre poliziotti ed evitargli la giustizia indigena, ma il ricorso è stato respinto dalle comunità chiamate all’udienza. In questa occasione, l’avvocato del MICC Carlos Poveda ha informato che Leonidas Iza è stato denunciato dalla giustizia ordinaria per sequestro di persona.
Durante le udienze, i tre poliziotti hanno infine ammesso di aver ricevuto ordini di pedinare l’ex leader indigeno e monitorare i suoi movimenti, facendo i nomi di giornalisti, avvocati e funzionari pubblici che compongono una squadra di 16 agenti direttamente coinvolti e 120 nell'intero processo di sorveglianza. Inoltre hanno dichiarato di essere stati trattati bene dalla comunità che li ha trattenuti per giudicare le loro azioni e di non essere stati sequestrati, impegnandosi a togliere la denuncia di sequestro.
Come riporta il portale Wambra, le udienze della giustizia comunitaria hanno rivelato che «ci sono agenti di polizia infiltrati in comunità, organizzazioni sociali e mezzi di comunicazioni. In mano ai poliziotti c’erano dei tesserini di un mezzo di comunicazione denominato Wilar RTV (fondato da un poliziotto). I poliziotti si facevano passare per giornalisti “comunitari” per entrare nelle comunità».
Dopo tre giorni di udienze pubbliche nella piazza di Planchaloma, le autorità indigene hanno emesso la sentenza: la comunità ha deciso di liberare i poliziotti e restituire il veicolo sequestrato. È stato altresì deciso di tenere sotto sequestro i telefoni degli agenti in quanto ci sono oltre 5000 documenti e messaggi difficilmente fraintendibili: nella chat “Asadero de cuy” – arrosto di cuy – un agente scrive testualmente “bisogna far sparire il cuy»1. Messaggi che saranno utili alle indagini e che potrebbero prevenire ulteriori atti di persecuzione nei confronti dei leader sociali. Infine, i tre poliziotti coinvolti nel caso, Carlos Uvidia, Bryan Díaz e Kevin Guamán, dopo aver chiesto scusa a Iza, sono stati espulsi dalle comunità per un periodo di 10 anni.
Ora la parola passa alla giustizia ordinaria. Cosa farà? Probabilmente niente. E lo stessa Iza con poche parole ha spiegato come funziona la giustizia in Ecuador: «ho affrontato 50 processi giudiziari, ora ho subito un attentato e alla fine risulta che io sono indagato per sequestro. È questa la giustizia che vogliamo?». Gli indigeni di Planchaloma hanno risposto in coro “no”. Come dargli torto?
Foto di copertina: Lanceros Digitales
1 Il cuy è il porcellino d’india ed è il nome con cui nelle chat è identificato Leonidas Iza.
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