Bolivia, dopo il caos una calma tesa verso le elezioni di maggio

Intervista a Marco Antonio Gandarillas Gonzalez, difensore dei diritti umani, ricercatore e presidente del CEDIB sulla situazione politica boliviana.

Due mesi fa la rinuncia di Evo Morales a seguito delle pressioni delle “sue” forze armate ha drammaticamente e drasticamente sconvolto il paese andino, ma anche i rapporti all’interno di tutto il continente sudamericano, dopo tredici anni di ininterrotto e intenso governo del MAS. Oggi, nonostante gli sconvolgimenti provocati dalla rivolta popolare e dal revanchismo delle destre appoggiate dagli Stati Uniti, il paese sta cercando con fatica la via verso la pacificazione, condizione necessaria per poter arrivare alle elezioni del 3 maggio prossimo indette dal nuovo Tribunal Supremo Electoral. Il ritorno alla “normalità” continua però ad essere messo a dura prova dalle logiche propagandistiche del “governo de facto” e del MAS, dalle “minacce” di Morales di voler creare una milizia armata, e dalla militarizzazione delle strade della presidente Añez in vista delle manifestazioni del 22 gennaio, data che era considerata la scadenza ufficiale del suo mandato, prima della proroga fino alle elezioni votata all’unanimità dal Senato e dalla Camera Bassa avvenuta in questi ultimi giorni. Per comprendere gli attuali sviluppi della crisi boliviana abbiamo parlato con Marco Antonio Gandarillas Gonzales, difensore dei diritti umani, ricercatore e presidente del CEDIB, il Centro de Documentación e Información Bolivia.

Il 20 ottobre e il 10 novembre sono due date simboliche della storia recente della Bolivia. A distanza di due mesi dallo scoppio della crisi com’è attualmente la situazione nel paese?

Oggi possiamo fare un’analisi un po’ più serena rispetto al momento più acuto della crisi politica. A mio avviso si è stabilito un certo equilibrio, sia delle forze politiche, sia di quelle sociali. Non si può dire che ora in Bolivia esista un’egemonia di un gruppo rispetto a un altro, ci sono forze con la stessa capacità di pressione parlando a livello sociale. Il MAS continua ad avere una importante forza politica e sociale, una forza però frammentata, con una crisi interna molto forte. Per dare alcuni dati, c’era una forte ingerenza dello Stato sulla società civile e in particolare sulle organizzazioni dei popoli indigeni: in questi due mesi, per esempio, la CONAMAQ è riuscita a rinnovare la dirigenza includendo tutte le correnti al loro interno. Stesso cammino intrapreso dalla CIDOB, la Confederación Indigena del Oriente Boliviano, che punta a completare una ristrutturazione della propria direzione o in altri settori come la COB o la Confederación de Campesinos che oltre a procedere con l’elezione di nuovi direttivi hanno dichiarato di voler rendere indipendenti i rispettivi movimenti dai partiti (incluso il MAS che aveva egemonizzato i precedenti direttivi) e di voler riunificare il movimento campesino. Con calma quindi si comincia a intravedere un ripristino dell’equilibrio di questi differenti settori o organizzazioni, che erano stati nazionalizzati o conquistati dal MAS. È molto salutare che non ci sia più ingerenza diretta da parte dello Stato come c’è stata in questi ultimi anni.

Per quanto riguarda il governo invece, credo sia abbastanza, anzi molto, debole. In un primo momento il governo della Añez ha subito molte pressioni da parte dei gruppi di Camacho e dei civícos di Santa Cruz, che hanno imposto ministri, tra i quali, più importante, Jerjes Justiniano, che è stato però allontanato dal governo dopo una campagna pubblica di discredito e ciò dimostra la debolezza del governo stesso. Ci sono state poi alcune misure prese dal governo molto discusse con la società civile che ha chiesto che l’INRA non effettuasse altre assegnazioni di terre nel dipartimento di Santa Cruz, oppure che venissero bloccati il progetto idroelettrico di Chepete – El Bala in piena Amazzonia, i progetti di sfruttamento del territorio in Tariquia, il progetto Rositas o ancora a derogare le misure governative che hanno provocato gli incendi nella Chiquitania l’estate scorsa. Sono fiducioso che con qualche sforzo in più nei prossimi mesi otterremo questi risultati.

Nonostante sia un governo debole, sta cercando di avere una linea anti-MAS molto forte, con alcuni ministri molto belligeranti, come la Ministra delle Comunicazioni Lizárraga e il Ministro degli Interni Murillo. Mi sembra però una situazione favorevole alla società civile: questo è un governo su cui si può fare molta pressione perché è costretto, da un lato a fare accordi con il Parlamento, che ad oggi è controllato per due terzi dal MAS, e dall’altro è costretto ad avere anche un certo grado di approvazione e di avere una buona immagine pubblica perché teme di non avere la forza per terminare il proprio mandato.

Se vogliamo stilare un bilancio preliminare guardando il medio termine, possiamo dire che, da parte dei gruppi “intellettuali” del MAS, c’è stata molta esagerazione sulla situazione. Noi che siamo specializzati nel seguire i casi delle violazioni dei diritti umani, abbiamo visto che spesso si confondono alcune doverose indagini per corruzione con la persecuzione, quando in realtà sono molti anni che si sono denunciate determinate situazioni nelle grandi imprese pubbliche e private ed ora c’è la necessità da parte dello Stato e della società civile di conoscere come sono stati gestiti contratti milionari che hanno coinvolto altissime autorità. Ci sono poi anche altri casi più difficili, con alcuni funzionari pubblici militanti del MAS che stanno subendo imputazioni esagerate, però ci sembra che nell’insieme sono casi abbastanza minoritari.

Da questa parte dell’oceano, si è parlato molto del ruolo delle forze armate nella rinuncia di Evo e nella repressione in Senkata e Sacaba, della destra oligarchica e fascista di Santa Cruz e della spaccatura nel MAS con la nuova presidente del Senato del MAS, Eva Copa, che ha guidato le trattative con le altre forze politiche per pacificare il paese. Cosa è successo in sede istituzionale?

C’è la necessità innanzitutto di fare un’indagine profonda, tanto che è stato fatto un accordo tra il governo e la CIDH (Comisión Interamericana de Derechos Humanos) affinché un gruppo internazionale di esperti accompagni e coadiuvi le indagini che lo stato boliviano deve portare avanti per rendere giustizia alle vittime. Questo processo di creazione di una équipe di lavoro è in corso, nelle prossime settimane parteciperemo con altri attivisti dei diritti umani alla sua promozione; è fondamentale che di ogni vittima ne sia determinata la causa della morte, ma va ricordato che oltre a Sacaba e Senkata ci sono stati altri eventi molto più complessi da analizzare che hanno causato altrettante vittime. Tuttavia dobbiamo dirlo ci sono interessi che cospirano perché non ci sia un’indagine imparziale e obiettiva sugli avvenimenti. Per esempio circa una settimana fa alcuni esponenti di spicco dei familiari delle vittime di Senkata, sono stati a una riunione politica con Evo Morales, nel corso della quale sono state definite candidature. Ci sono altri gruppi di familiari di vittime di Senkata che prima ancora di pretendere verità e giustizia per le vittime, pretendono di ricevere un indennizzo. Ci sono molte richieste di indennizzi. Quasi si chiedono solo indennizzi e non indagini. E questo è una situazione che si ripete e ha un certo parallelismo con quello che è successo nell’ottobre del 2003.

Dal punto di vista del gruppo del MAS, al suo interno ci sono grandi differenze che vengono alla luce solo oggi ma che hanno radici profonde; per esempio questo gruppo più indigeno guidato da Eva Copa, per molto tempo è stato zittito: sappiamo tutti che nell’assemblea legislativa non si prendeva nessuna decisione, tutte le decisioni venivano dal vicepresidente Álvaro García Linera. All’interno dell’Assemblea Legislativa, esisteva un gruppo di “operatori”, che erano il presidente dei deputati Montaño, Victor Borda, Adriana Salvatierra, Sonia Brito (un gruppo di persone benestanti delle classi medie, delle élites boliviane) che decidevano verticalmente tutto ciò che si doveva discutere nell’assemblea. Eva Copa lo ha detto in molte interviste che c’era una differenza molto marcata tra le donne dell’élite del MAS e quelle indigene, più simboliche e che decidevano molto poco, escludendo le dirigenti del Chapare e delle Bartolinas. Ora mi sembra che abbiano preso questa posizione molto valorosa, di assumere il proprio ruolo come autorità pubblica e nonostante siano subordinati al proprio gruppo politico hanno portato avanti accordi per pacificare il paese. Dopo i menzionati fatti di Senkata, infatti, non ci sono più stati atti di violenza con morti nel paese, il paese è stato realmente pacificato. Quindi io credo che si possa parlare di un gruppo molto radicale e violento nel MAS che gira intorno agli esiliati, a Evo Morales, alla gente del Chapare, a questo gruppo elitario che ha ancora cariche nell’assemblea legislativa e di un secondo gruppo che lavori perché il MAS continui a esistere sotto altri schemi interculturali, più indigeni; per esempio il profilo del nuovo candidato presidenziale del MAS punta a questo, si parla di David Choquehuanca, di persone più di concertazione, più democratiche, in opposizione a questo gruppo più radicale.

Quindi ora che Morales è stato spodestato, il popolo boliviano è più libero?

Dipende da che punto di vista guardiamo. Se guardiamo dal punto di vista dei diritti umani io credo siamo di fronte a una situazione molto critica. C’è un alto livello di minacce e persecuzione contro molti media di comunicazione, giornalisti, leader indigeni o difensori dei diritti umani in generale o dell’ambiente. Rispetto alla situazione generale, posso dire che abbiamo finito di essere perseguiti. Il governo in realtà resterà in carica poco tempo, in maggio si terranno le elezioni e mi sembra non avranno opportunità di avere una strategia ampia di restrizione dei diritti umani. Ora abbiamo questa necessità di indagare sulle violazioni dei diritti umani come sulla corruzione, in alcuni casi mi sembra lo stiano facendo male, in altri molto bene ma è una situazione molto variegata. Mi è toccato seguire vari casi di persecuzione politica e vari di questi casi sono super sproporzionati: in molti di questi casi hanno portato alla detenzione di persone non più di 24 ore. Le condizioni perché si abbia un governo che tenga un controllo pieno dei poteri dello Stato, che permette gli abusi dello Stato, ora non c’è e probabilmente nemmeno nel futuro. Il governo che verrà fuori dalle elezioni non avrà la forza per controllare tutti i poteri dello Stato, sarà un governo che avrà forse 1/3 dell’elettorato, con un’assemblea legislativa divisa, con vari gruppi e con difficoltà a governare o a fare progetti, e che dovrà forzare certi equilibri e certi accordi.

Cosa pensi del fatto che il “governo de facto” della Añez, nato per portare il paese alle elezioni, sembra allungare sempre di più la sua durata e posticipare il giorno delle elezioni stesse?

C’è una questione costituzionale importante da capire. Si può convocare rapidamente un’elezione se ci sono istituzioni in grado di farlo. In Bolivia questo non c’è. Nel tribunale elettorale ci sono funzionari dipartimentali che sono sotto indagine per aver partecipato al “fraude”, è un’istituzione che è messa molto male al momento. Tecnicamente ci sono stati molti funzionari che hanno rinunciato alla propria carica subito dopo le elezioni, e questo è stato parte del problema delle elezioni stesse. È un’istituzione che era morta e che ora lentamente si sta ricostruendo e per questo processo ci vuole tempo. Per esempio l’Assemblea Legislativa ha nominato solo verso la fine dell’anno i responsabili del Tribunale Elettorale Nazionale e in parallelo anche le assemblee dipartimentali hanno concluso il lavoro di nomina dei rappresentanti verso la fine dell’anno. Organizzare un processo elettorale che sia credibile, che soddisfi gli standard internazionali ha bisogno di tempo. Noi qui in Bolivia, sappiamo in che situazione è l’organo elettorale e c’è bisogno di tempo per farlo funzionare correttamente. Secondo il mio punto di vista le elezioni sono state convocate con molto anticipo, questo per la pressione portata verso il governo da Morales.

Chi ha cacciato Evo Morales?

Penso che oggi abbiamo molti più elementi per vedere l’enorme quantità di forze che hanno confluito e contribuito al risultato finale, incluso le forze del MAS. Se analizziamo il comportamento dei gruppi affini al MAS, al di fuori dei gruppi violenti come i cocaleros del Chapare, certi gruppi de El Alto o gruppi del nord di Potosí, nello scenario della crisi non hanno difeso la rielezione di Evo Morales e hanno abbandonato il MAS. Se questa corrente è venuta fuori solo ora è perché esisteva una cupola che generava tanta paura sia fuori sia dentro che impediva che questa corrente si esprimesse democraticamente all’interno dello stesso MAS. Quindi ci sono stati più elementi che hanno concorso agli eventi, oltre alle forze armate, alla polizia, ci sono stati più gruppi, più energie che si sono ritrovati in accordo di chiudere il ciclo egemonico del MAS.

Vorrei chiuedere dicendo che mi sembra sia necessario abbandonare questa lettura “cospiranoica”, cospirativa, che viene anche dalla destra boliviana di costruire questa narrazione polarizzata. Per esempio, Camacho si attribuisce a sé stesso la caduta di Evo Morales, ma è sempre stato un rappresentante abbastanza debole per Santa Cruz e infatti i grandi gruppi economici, si sono aggiunti alla richiesta di rinuncia di Evo solo nell’ultima settimana. Fino a quel momento sono stati con Evo. Come dicevo prima, una lettura più ampia dei fatti ci mostra che perfino dentro al MAS c’era disapprovazione rispetto all’opzione della violenza e della permanenza di Evo Morales alla guida del Paese.

Photo credit: Andrea Mazzocco, Plaza 24 de Septiembre, Santa Cruz
Tratto da Global Project
 


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