«Qué más tiene que pasar para que se califique a Mexico como la tumba de los derechos humanos?», diceva così solo pochi giorni fa Federico Mastrogiovanni (profilo Twitter), autore di “Ni vivos ni muertos” alla consegna di un importante premio giornalistico.
Giusto ieri, l'ennesimo atto di forza e brutalità dello stato messicano si é consumato ad Acapulco, nello stato di Guerrero. Circa duemila maestri della CETEG, un'organizzazione sindacale, erano scesi in piazza stanchi delle promesse del governo e di non ricevere lo stipendio da mesi. Si stima che siano oltre 94 mila i lavoratori che non ricevono lo stipendio.
Il corteo, con alla testa donne e bambini, voleva raggiungere l'aeroporto di Acapulco ma è stato brutalmente caricato dalla polizia federale poco dopo la partenza. Al momento le cifre ufficiali parlano di 106 arresti (il numero è destinato a salire) e centinaia di feriti, inoltre pare che manchino all'appello svariati manifestanti, ma il numero dei desaparecidos per il momento é sconosciuto. I media indipendenti messicani parlano anche di alcuni morti. Testimoni raccontano di caccia all'uomo in giro per la cittá, di cecchini e di violenze, anche sessuali, subite dalle e dai manifestanti.
Nella notte, azioni di protesta e solidarietà ai maestri sono avvenute in numerosi centri dello Stato. In particolare: gli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, che avevano ricevuto solidarietà e appoggio da parte dei maestri, hanno occupato il centro di Chilpancingo e costruito barricate per protestare contro l'ennesimo atto di repressione violenta del governo di Peña Nieto.
I fatti di ieri di Acapulco fanno assumere un'importanza ancora maggiore alla prevista manifestazione del 26 febbraio che celebra i cinque mesi dalla scomparsa dei 43 ragazzi della Normal di Ayotzinapa: nello stato del Guerrero il Governo messicano ha dimostrato ancora una volta con la forza che cos'è il terrorismo di Stato.
Pubblicato su Global Project