Quando il Sup si fermò a parlare


Il caldo soffocante ci stava togliendo le forze. C’era chi stava steso in amaca, chi seduto all’ombra di un albero, chi chiaccherava, chi giocherellava coi bambini. Nessuno aveva chiesto di andare al fiume a rinfrescarsi. No, nessuno si sarebbe mosso dall’accampamento.
La calma regnava all’interno del Caracol de La Realidad, i partecipanti al 2° Incontro dei Popoli Zapatisti coi Popoli del Mondo se ne erano tutti andati; all’alba Tacho e Moises erano passati tra le tende con le trombette per svegliare i campamentistas perché i camion sarebbero partiti di li a poco. Solo noi di Ya Basta eravamo rimasti, ci tenevano là i nostri cuori, i nostri progetti e un desiderio: conoscere il Sup.
Fu dopo la colazione che Moises andò da Vilma a dirle che entro il pomeriggio il Subcomandante ci avrebbe ricevuto. Come al solito, orario indefinito, ahorita, ma tanto bastò per mettere in fibrillazione tutto il gruppo. Cascasse il mondo, nessuno si sarebbe mosso dal Caracol, l’ozio divenne elettrizzante.
Passarono così alcune ore finché…
“Intorno a mezza mattina, tre uomini a cavallo, sono sempre loro, Tacho, Marcos e Moises. Parlano con Via Campesina poi viene Moises da noi: il Sup ci riceve. Dieci minuti, un quarto d’ora, non di più. Però emozionanti. Si stupisce che capiamo tutti lo spagnolo. Poi con Vilma parla di Vicenza e dei Centri Sociali, che vorrebbe in visita nella Selva… ecco, questo non lo ha capito, noi siamo i Centri Sociali.”
Quando finì l’incontro uscimmo dalla stanza. Lì, davanti al Templete, fu Francesca a rompere gli indugi e a chiedergli di fare una foto. Lo volevamo tutti, ma nessun altro aveva avuto il coraggio di chiederglielo.
Quando incontri personaggi così carismatici, ti sembra di aver davanti una montagna, di incontrare un gigante. Un mito, un eroe, emozioni difficili da controllare. E invece la sensazione che mi lasciò è stata l’opposto, di un uomo come noi, vivo, reale, spontaneo. 
Ho impresso tutto nella memoria, l’emozione, i colori, i profumi, le facce dei miei compagni e di Rita, con cui avevo intrapreso questa esperienza. Vedevo l’emozione nei suoi occhi e sentivo che era anche la mia.
Ricordo soprattutto la sua voce, calda, ferma, lenta. E quella sensazione di profonda accoglienza e giustizia che mi ha lasciato. Quella voce parlava di rispetto per la vita, di rabbia degna, dignità, ribellione, giustizia, uguaglianza, libertà. Quella voce la porto con me da allora, non mi abbandona, non posso scordarla.
Ripenso a questo episodio da quando il Sup ha cessato di esistere. E adesso mi è tutto più chiaro. I miti, gli eroi muoiono e con loro finisce una storia. Il Sup ha volontariamente cessato di esistere perché la storia zapatista non è la storia di Marcos. La sua voce era la voce di miles y miles de zapatistas, degli uomini e delle donne del colore della terra, degli ultimi, degli esclusi, dei diseredati, degli invisibili. E lui, Marcos, era uno specchio, uno strumento attraverso il quale questi uomini e queste donne hanno cominciato ad esistere. 

“Es nuestra convicción y nuestra práctica que para rebelarse y luchar no son necesarios ni líderes, ni caudillos, ni mesías, ni salvadores. Para luchar sólo se necesitan un poco de vergüenza, un tanto de dignidad y mucha organización.

Lo demás, o sirve al colectivo o no sirve.”

Gracias querido compañero Marcos

Grazie per avermi fatto innamorare de La Realidad e della lotta Zapatista!
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