21 settembre, il ritorno. Dopo aver partecipato attivamente alla protesta contro il vertice del WTO di Cancun, riprendiamo la strada per la Selva. I viaggi quaggiù sono l'essenza del vivere messicano: non esistono i treni, ci sono solo i pullman per spostarsi. E ogni viaggio sembra una trasferta, quelle che di solito si fanno al sud; ore e ore interminabili, con strade piene di curve, di salite, discese e di topes, i rallentatori di velocità, che qui sono alti e bisogna farli quasi da fermo.
18 ore più o meno è il tempo che impieghiamo da Cancun per arrivare a San Cristobal de las Casas, l'ultimo avamposto civile… o forse incivile. La mattina seguente ci svegliamo alle 4, prendiamo il combi per Comitan, poi il taxi fino a Las Margaritas, dove alle 7:30 parte il camion per San Quentin, che ci riporterà a La Realidad. Ah, maldito tiempo mexicano!! Il camion non arriva, forse l'abbiamo perso; e invece no, è in ritardo di circa un'ora ma con calma arriva. Un'altra ora e mezza di asfalto e poi, di colpo, superiamo i lavori di asfaltatura che il governo ha deciso di fare per rendere più accessibile arrivare a La Realidad (ma per chi? Per l'esercito forse?) e ci ritroviamo dentro alla Selva, in questa che chiamano carretera , ma che di strada ha ben poco. La Selva sembra inghiottirci, fa caldo, semo streti come sardee , ma poi riconosciamo Guadalupe Tepeyac. Siamo quasi arrivati, mancano solo una decina di km, più o meno un'ora e mezza!! Ripartiamo dopo una piccola sosta per rifocillarci e all'una e mezza siamo finalmente in vista del Caracol Madre de los Caracoles del mar de nuestros suenos, La Realidad. E l'emozione è sempre forte. Vengono ad accoglierci Tabù, il capocantiere di Padova che coordina i lavori e i tre ragazzi di Pisa che ci hanno preceduto di qualche giorno. Subito mi viene in mente che in altre occasioni, questi incontri ravvicinati coi pisani avrebbero potuto essere diversi e invece, me ne accorgerò durante la settimana, sono dei ragazzi veramente in gamba. È questa la cosa forse più importante di questo sogno che stiamo realizzando: mettere insieme realtà diverse, che non hanno niente in comune e che magari sono rivali.
Siamo arrivati giusti in tempo per la comida, ma per fortuna i compas ci presentano una pasta che dopo un viaggio così lungo ed estenuante ci ridà un po' di vigore.
Veniamo subito aggiornati sui nuovi dettagli e soprattutto sul progetto dei pisani, che dopo l'ennesimo colloquio con la Junta de Buen Gobierno, ha assunto particolari caratteristiche: la loro disponibilità a fornire manodopera per le brigate rimane intatta, anzi è già pronta per dicembre la nuova brigata, mentre loro si impegneranno ad acquistare una macchina per gli ultrasuoni, nell'ambito del progetto sulla salute, fortemente voluto dalla comunità e fortemente necessario; e sul quale già da tempo l'Associazione Ya Basta si sta spendendo.
Il giorno dopo iniziamo i lavori al Caracol: entrare in questo piccolo “parco” è una sensazione che non è facile descrivere; mi sento al centro del mondo, mentre noi lavoriamo, a fianco abbiamo zapatisti impegnati in assemblee, di fronte giovani a scuola che imparano a diventare promotori di educazione e altri promotori di salute. È una delle emozioni più forti ed intense di tutto il viaggio.
Il nostro lavoro inizia con lo smontaggio di una costruzione di legno, dove poi sorgerà la prima delle costruzioni che ci hanno chiesto di fare, la casa de herbolaria. In due giorni smontiamo tutto e il giorno seguente iniziamo a prendere le misure e i livelli. Il terreno è un po' in pendenza e quindi iniziamo a spianarlo, a braccia naturalmente. Insomma in questa prima settimana spianiamo il terreno e poi mentre aspettiamo il materiale vario dal mondo incivile, procediamo con alcuni lavori all'accampamento: portiamo l'acqua semipotabile (che necessità cioè di un piccolo correttore per poterla bere), alziamo il soffitto delle latrine e iniziamo i lavori per il nuovo comedor dei “ brigadistas ”.
Il fine settimana è un po' triste: i compas pisani se ne vanno; le interminabili ore di discussione sugli zapatisti, sul football business e sul futbol rebelde, ci hanno segnato e fatto crescere a entrambi. Ci sentiamo un po' soli così la Junta decide di metterci a disposizione una brigata di uomini delle comunità facenti parte del Caracol. Se prima avevamo degli orari messicani adattati all'europea, ora ci tocca veramente naturalizzarci: ogni mattina ci vengono a svegliare alle 5, quando il sole non è ancora sorto e noi ci sentiamo quasi costretti ad obbedire al volo. Non tutto è negativo, comunque, qua l'alba è una cosa che ti fa girare la testa, i colori sono qualcosa di indescrivibile. Con la brigata messicana è arrivato anche il materiale così iniziamo a scavare le fondamenta di questa casa, poi giù l'armatura e infine a fine settimana riusciamo pure a buttare il cemento e a finire queste fondamenta. Le difficoltà maggiori erano la mattina, quando ci ritrovavamo il cantiere allagato dalle piogge della notte precedente e il fatto che gli attrezzi a nostra disposizione sembravano fatti di burro e si rompevano al primo uso.
Gli ultimi giorni sono frenetici, ci sentiamo quasi in dovere di lavorare tutto il giorno, vorremmo fare il più possibile, avanzare coi lavori, ma soprattutto vorremmo poter stare qui. In questa seconda settimana ci siamo ambientati perfettamente e anche i contatti e la comunicazione con la gente della comunità era diventato più facile, sia perché la naturale loro diffidenza era calata, sia perché il nostro itagnolo era migliorato visibilmente.
8 di ottobre, è mattina, le 4 di mattina. Ci alziamo e prepariamo i bagagli, alle 5 parte il camion che ci riporterà a San Cristobal. Neppure il tempo di bere l'ultimo caffè e corri perché questa volta il camion è arrivato pure in anticipo, e non aspetta. Mentre mi avvio per il sentiero scorgo il murales del futbol rebelde , quello del simbolo del progetto, poi mi guardo indietro e mille pensieri cominciano a sorgermi in testa. Il primo è per Francesco, il Bae. Ancora una volta sento che ci è vicino, che ovunque noi andiamo ce lo porteremo sempre al nostro fianco. Insieme stiamo percorrendo una strada, un sogno, il suo sogno quello di stare con gli uomini e le donne del color della terra, con gli ultimi, con quelli olivados en el ultimo rincòn del mundo, elo màs pobres. Il viaggio di ritorno è lungo uguale e mi dà modo di pensare a queste due ultime settimane. Cieli stellati mai visti prima, la via lattea, miliardi di lucciole la sera sul prato e dentro la nostra camera, i giochi coi bambini, i lavori, la vita da semi-barboni, cucinare sul fuoco a legna, gli insetti carnivori, il caldo, le piogge torrenziali, le infinite discussioni, coi compas italiani e zapatisti, le partite di calcio contro questi piccoli Maradona della Selva, le tortillas, il caffè, dormire sull'amaca, svegliarsi alle 5 di mattina, il rio dove andavamo a lavarci, la cascata, i sentieri, la tienda comunitaria, la Junta, el pueblo, i galli, il caracol, ogni singolo murales, la paz, la justicia, la democracia. Immagini che mi affollano la mente, immagini che non potrò dimenticare.
¡QUE VIVA EL BAE, QUE VIVA LA REBELDIA ZAPATISTA!
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