I ribelli delle montagne del Chiapas li chiamano zapaturisti e non è difficile capirne il motivo. Lo zapaturista è colui che arriva nelle comunità zapatiste in resistenza con l’unico scopo di fotografare murales e sorrisi dei bambini per poi raccontare al ritorno che ha fatto la rivoluzione assieme al Subcomandante Marcos. Di più, lo zapaturista non è minimamente interessato all’esperienza rivoluzionaria degli indigeni ed è capace di giudicare ogni singolo aspetto di questa esperienza senza tener assolutamente conto della storia, della cultura e della geografia, di chi ha di fronte. È il suo punto di vista quello che conta e se ciò che vede e capisce si discosta da quanto pensa, non è in grado di comprenderne le differenze. Infine, gli zapaturisti, sono d’intralcio alle comunità perché obbligano i responsabili dell’accoglienza a perdere tempo dietro a questi personaggi con un ego smisurato e a far si che non facciano danni o manchino di rispetto ai membri della comunità o alla comunità stessa.
Di Battista arriva nella comunità di Oventik (quella più vicina a San Cristobal e per questo più costretta a sorbirsi tali personaggi) e comincia nel modo peggiore la sua esperienza con gli zapatisti: mentendo. Se è pur vero che fa il volontario, nella sua stessa pagina Facebook si dichiara un personaggio politico ed omettere tale cosa è quindi una balla bella e buona. Se poi non lo si dice perché si appartiene a un partito (no, non è un movimento) che se la fa con uno dei peggiori partiti fascisti, razzisti e xenofobi dell’Europa, certamente è da mettere in conto la malafede.
Ci sono poi alcuni passi terribili nel reportage, uno di questi è all’inizio, lo cito con disgusto: «Entrare a Oventik è stato semplice. Un paio di uomini in passamontagna ci hanno chiesto le ragioni della nostra visita, le nostre professioni e i passaporti. Meglio non parlare di reportage da scrivere, pare che anche da queste parti i giornalisti non godano di ottima fama. Non sono e non sarò mai giornalisti, credo che l’ordine dovrebbe essere abolito, ma era troppo complicato spiegarglielo». Eh, già questi poveri indigeni contadini e ignoranti, come potrebbero capire? Questa frase contiene un pensiero colonialista di fondo, i poveri indigeni da civilizzare, di contro gli occidentali civilizzati e civilizzatori.
Se poi affermi che «la loro autonomia non è più minacciata dall’esercito nazionale o dai politici messicani», significa che non sai proprio di cosa stai parlando e nemmeno dove sei finito. La guerra a bassa intensità contro le comunità zapatiste non è mai finita, il compagno Galeano de La Realidad rimasto ucciso dai membri del gruppo paramilitare della Choac historica giusto 4 anni fa ne è la prova, ma sono poi numerose le denunce di aggressioni che provengono dalle comunità zapatiste in resistenza. Gli attacchi non sono solo fisici, violenti, sono pure politici e il non-rapporto con il nuovo presidente AMLO è lì a testimoniarlo.
Per concludere in bellezza questo “accrocchio” di parole senza senso, il nostro volontario tira fuori dal cilindro la provocazione perfetta: udite udite, nelle comunità zapatiste bevono la Coca-Cola! Oooh! La prima volta che ho sentito questa, scusate il francesismo, puttanata, sarà stato almeno 15 anni fa e lo stesso fu Marcos la liquidò così:
Di Battista si lancia poi in un’analisi sul capitalismo: «i colonizzatori di oggi non devono aprirsi la strada con le armi, gli bastano i trattati di libero commercio». Già, gli oltre 200 mila morti, 35 mila desaparecidos, 350 mila sfollati interni negli ultimi dodici anni, sono invisibili, morti o spariti per cause naturali.
Del reportage di Di Battista, delle sue falsità e inesattezze, del suo punto di vista ne facciamo volentieri a meno tutti, zapatisti compresi. In fondo zapaturisti e volontari che portano in solidarietà scarpe rosa col tacco sono solo inutili e scoccianti perdite di tempo, roture de cojoni appunto. A Di Battista però un consiglio mi sento di darlo: dopo le cazzate che ha scritto non si faccia più vedere da quelle parti, e non tanto per ciò che ha scritto, ma per avergli mentito sulla sua identità e sul ruolo che ha all’interno di un partito divenuto sistema e che non ha nessuna intenzione di rovesciare tale sistema. Perché gli zapatisti saranno pure dei contadini ignoranti, ma hanno ben chiaro chi è il nemico da combattere.
Del reportage di Di Battista, delle sue falsità e inesattezze, del suo punto di vista ne facciamo volentieri a meno tutti, zapatisti compresi. In fondo zapaturisti e volontari che portano in solidarietà scarpe rosa col tacco sono solo inutili e scoccianti perdite di tempo, roture de cojoni appunto. A Di Battista però un consiglio mi sento di darlo: dopo le cazzate che ha scritto non si faccia più vedere da quelle parti, e non tanto per ciò che ha scritto, ma per avergli mentito sulla sua identità e sul ruolo che ha all’interno di un partito divenuto sistema e che non ha nessuna intenzione di rovesciare tale sistema. Perché gli zapatisti saranno pure dei contadini ignoranti, ma hanno ben chiaro chi è il nemico da combattere.
«Así que expliquen, eduquen, formen, aconsejen sobre lo que es bueno y malo para la salud en la alimentación. Pero no juzguen y condenen a quienes han decidido arriesgar la vida, y todo lo que han levantado sobre la sangre de nuestros muertos, para destruir un sistema que a ustedes y a nosotros, enlatados o sin lata, nos despoja, nos explota, nos reprime y nos desprecia».
Subcomandante Marcos
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