America Latina, il 2023 in pillole



Il 2023 in America Latina è stato un anno caratterizzato da numerosi eventi che ne hanno segnato la vita politica e sociale. Elezioni, resistenze, lotte sociali ed estallidos hanno ridisegnato la geografia del potere intrecciandosi inevitabilmente con le storie di resistenza e ribellione alla guerra contro i popoli sferrata dal capitalismo estrattivo. Resistenze e ribellioni che hanno provato e provano, desde abajo, a costruire un nuovo mondo mettendo al centro la difesa dell’ambiente, delle persone, dei diritti. In questo articolo ho raccolto e riassunto molte di queste storie, alcune già approfondite durante l’anno sulle pagine di Global Project.

I primi giorni dell’anno sono stati segnati dall’estallido peruviano, iniziato i primi giorni di dicembre dell’anno precedente a seguito del tentato colpo di stato effettuato dal presidente-maestro Pedro Castillo, respinto con forza dalle élite di potere politico ed economico peruviane. La presidente Boluarte, sorretta da un Congresso tanto corrotto quanto criminale, ha messo in atto una repressione gravissima che porterà, dopo tre mesi di “battaglie campali”, a contare oltre 60 morti, migliaia di feriti e centinaia di arresti tra i manifestanti.

Finite le festività natalizie arriva un’incredibile notizia dal Brasile: poco prima della festa per il reinsediamento sulla poltrona presidenziale di Lula Da Silva, sull’esempio dell’attacco dei trumpiani a Capitol Hill, migliaia di bolsonaristi assediano e devastano Planalto a Brasilia. Il tentato colpo di stato dei bolsonaristi non va però in porto a causa della “fedeltà” dell’esercito al nuovo presidente.


Se in Brasile torna presto la calma e Lula riprende il controllo della situazione dopo pochi giorni dall’assalto, in Perù si continua a manifestare contro un regime che diventa giorno dopo giorno più crudele. Il sud del Paese, a maggioranza indigena, è paralizzato dai blocchi stradali messi in atto dai manifestanti contro il governo, tanto che la polizia fatica a mantenere il controllo nonostante una repressione sempre più dittatoriale.


A fine febbraio, arriva dall’Ecuador la triste notizia dell’assassinio dell’attivista della Conaie Eduardo Mendúa. È il presidente dell’organizzazione indigena Leonidas Iza a denunciare il ruolo dello stato ecuadoriano nell’assassinio: «la morte di Eduardo Mendúa è legata ai problemi socio-ambientali che si vivono nel territorio delle popolazioni e nazionalità indigene, dove si vuole imporre il modello estrattivo che distrugge la terra». Il leader indigeno cofán, infatti, da tempo lottava contro i progetti estrattivisti di Petroecuador nel territorio cofán di Dureno.


A fine aprile parte da Tapachula, sud del Messico al confine col Guatemala, una nuova carovana composta da circa tremila migranti. Era dal giugno dell’anno precedente che non si registrava la partenza di una carovana così numerosa, pur non essendo mai diminuito il flusso migratorio verso il nord. Il motivo di questa nuova partenza collettiva è l’impossibilità di ottenere i documenti per restare e transitare nel paese nonché il divieto di abbandonare la città di frontiera e quindi di sostenersi nell’attesa di essere ricevuti per regolarizzare la propria situazione.


Tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio un’altra carovana attraversa le strade del sud del Messico: è quella degli attivisti de El Sur Resiste, una rete di varie organizzazioni e pueblos indigenas che lotta contro il sistema delle grandi opere messo in atto dal governo di López Obrador. Accompagnati da decine di attivisti internazionali, tra cui anche gli attivisti dell’associazione Ya basta! Êdî bese!, la carovana mette a nudo i disastri ambientali e sociali portati dalle grandi opere progressiste in quei territori.


A maggio un terremoto scuote la politica cilena: alle elezioni per eleggere i rappresentanti del Concejo Constitucional, al quale spetta il compito di redigere la nuova Costituzione, trionfa la destra radicale erede del dittatore Pinochet. È una sconfitta senza mezzi termini per il governo e consuma il tradimento finale di Boric nei confronti delle istanze dell’estallido social dell’ottobre 2019.


Nel frattempo in Ecuador il presidente conservatore Guillermo Lasso è sempre più in crisi e accerchiato dall’opposizione che cerca in tutti i modi di metterlo sotto accusa per alcuni casi di corruzione. Così, con una mossa a sorpresa lo stesso Lasso sfrutta il meccanismo della muerte cruzada con il quale scioglie il parlamento e indice nuove elezioni per evitare di finire sotto processo.


Sempre dall’Ecuador arriva una bella notizia ai primi di giugno: la piccola comunità di San Pablo de Amalí ai piedi delle Ande, dopo quasi vent’anni di lotta per difendere la propria comunità dall’impresa idroelettrica Hidrotambo ottiene una sentenza favorevole da parte del ministero dell’Ambiente. Per la prima volta nella storia dell'Ecuador il governo ritira l'autorizzazione all'uso dell'acqua concessa a una centrale idroelettrica operativa.


A luglio riprendono le proteste in Peru: è ormai chiaro che il regime di Boluarte intende mantenersi al potere fino alla fine del mandato presidenziale e soprattutto di non assumersi la responsabilità delle oltre 60 persone uccise dalla polizia peruviana durante le proteste invernali. Le manifestazioni di luglio, durante i festeggiamenti per la festa nazionale, si concludono ancora una volta con un incredibile spiegamento di forze armate e con una durissima repressione.


A fine luglio dal Messico arriva un’altra importante notizia: Il GIEI, il Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes che da quasi nove anni segue il caso dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, annuncia l’abbandono del caso a causa dell’impossibilità di continuare a investigare sul ruolo dell’esercito: il governo progressista di López Obrador copre e difende i militari abbandonando definitivamente i genitori.


Agosto è tempo di elezioni. In Argentina, poco prima delle primarie, viene assassinato l’attivista e fotografo Facundo Molares durante una violenta repressione della polizia argentina. Nello stesso giorno un giudice argentino assolve i gendarmi responsabili della sparizione forzata seguita a morte di Santiago Maldonado rinsaldando così il patto di impunità tra destra, forze armate e giudici. Qualche giorno dopo alle elezioni trionferà l’ultradestra fascista di Milei, che metterà il primo tassello per la conquista della Casa Rosada.


Il weekend successivo altri due importanti appuntamenti elettorali si prendono l’attenzione, in Guatemala e in Ecuador. Nel Paese centroamericano avviene una svolta storica con la vittoria del candidato progressista Bernardo Arevalo. Purtroppo le élite economiche e politiche non accetteranno il risultato del voto cercando in ogni modo, legale e illegale, di far invalidare le elezioni nei mesi seguenti, attaccando personalmente Arevalo, il suo partito - il Movimiento Semilla - e addirittura l’operato del Tribunale Supremo Elettorale.


Il processo elettorale senz’altro più interessante nell’ottica di costruzione di un nuovo mondo è però quello che avviene in Ecuador. Non tanto per la contesa elettorale che vede il rinvio al ballottaggio della scelta tra correismo e destra, quanto per la consulta popolare per la difesa da pericolosi e impattanti progetti estrattivisti di due importanti ecosistemi naturali, il Chocó Andino e lo Yasuní. Vince l’idea di salvaguardia e cura della propria terra, che mostra come attraverso la mobilitazione attiva e l’unità desde abajo il capitalismo estrattivo si può fermare.


A settembre altra bella notizia arriva dal Messico: la Corte Suprema depenalizza l’aborto in tutti gli Stati federali, dando la possibilità a tutte le persone con capacità di gestazione di praticare l’aborto volontario senza restrizioni né criminalizzazione. Una vittoria storica che cavalca l’onda della “marea verde” che in tutta l’America Latina ha portato a riconoscere come un diritto fondamentale la scelta consapevole di abortire o di avere un figlio.


Settembre è anche il mese di Ayotzinapa. Con questo sono passati nove anni dalla sparizione forzata dei 43 studenti e ormai appare chiaro che anche la speranza di ritrovare i ragazzi portata da López Obrador, è svanita nel nulla con la strenua difesa dell’esercito da parte del Presidente. La verità, rimane quindi insabbiata nelle caserme militari, e con essa anche la stessa idea di democrazia, perché uno Stato non si può definire democratico se è complice del più efferato e crudele dei crimini contro l’umanità, la sparizione forzata.


Ad ottobre tornano in piazza le popolazioni indigene guatemalteche a difesa della democrazia, contro gli attacchi sempre più gravi dei giudici Porras e Curruchiche smaniosi di impedire ad Arevalo di diventare presidente. Il paro nacional apre settimane di mobilitazioni che mettono in chiaro come la popolazione voglia chiudere col passato di politici corrotti e conservatori.


Intanto in Ecuador si disputa il ballottaggio tra la candidata correista Lucia González e l’esponente della ricca borghesia imprenditoriale di Guayaquil, Álvaro Noboa. È quest’ultimo a spuntarla, e con lui vince la continuità neoliberista, che tiene le redini del paese dal “tradimento” al corressimo dell’ex presidente Lenin Moreno, mentre i movimenti indigeni mantengono le distanze da una tornata elettorale anticipata che ha il solo scopo di permettere all’ex presidente Lasso di evitare i processi e di riassestare il sistema in attesa delle elezioni generali previste per il 2025.


Il 22 ottobre si svolgono le tanto attese elezioni presidenziali argentine. L’ultradestra fascista di Milei non sfonda completamente ed è subito dietro al candidato kirchnerista Sergio Massa. Sarà ballottaggio, ma per la sinistra argentina si mette subito male perché si capisce che Milei raggruppa attorno a sé tutta la destra del paese, dall’ala più radicale a quella più moderata.

Ad fine ottobre, e per tutto il mese di novembre, inizia però anche una delle più grandi e incisive mobilitazioni del continente. È quella ambientalista della popolazione panamense che si schiera apertamente contro l’estrattivismo minerario promosso dal governo. La goccia che fa traboccare il vaso è il contratto stipulato tra lo Stato e la multinazionale canadese First Quantum Minerals con il quale Panama cede lo sfruttamento della più grande miniera di rame a cielo aperto alla multinazionale. La popolazione insorge in tutto il Paese e prosegue la lotta ininterrottamente per oltre un mese. Alla fine, il governo è costretto alla resa e la Corte Costituzionale sancisce l’incostituzionalità del contratto minerario liberando il paese dalle miniere.


A novembre arriva anche il momento del ballottaggio in Argentina. Vince Milei, supportato dall’ex presidente Macri e da tutta la destra e subito promette di sconvolgere la politica e la società argentina con ricette economiche ipercapitaliste e una stretta per quanto riguarda i diritti civili. Pur continuando a praticare un discorso anticasta, nella sua squadra di governo ci saranno tutti gli elementi più nefasti della casta conservatrice del paese.

Dicembre, è tempo di bilanci. Pessimo quello del primo anno del regime di Boluarte in Perù che si chiude con l’infame concessione dell’indulto all’ex dittatore Alberto Fujimori colpevole di numerose violazioni dei diritti umani durante la sua dittatura. A nulla valgono le forti proteste nelle strade e anche le dichiarazioni della CIDH, dell’ONU e di Amnesty contrari all’indulto. Governo, Congresso e parte della magistratura alleata sferrano un duro colpo alle vittime delle violenze di Fujimori.


Per il Cile dicembre è invece di nuovo tempo di elezioni: i cittadini sono di nuovo chiamati alle urne per votare la nuova Costituzione redatta dagli esponenti delle destre del Paese. Una Costituzione ancora più a destra di quella di Pinochet che fortunatamente viene respinta dai cittadini. Non si può tuttavia parlare di vittoria né per il governo di Boric né per i movimenti sociali perché dopo 4 anni di battaglie nelle strade con un estallido social costato la vita a 40 persone, migliaia di feriti e di arresti, si chiude qui il processo costituente e rimane in vigore la tanto disprezzata Costituzione di Pinochet.

In Argentina, come promesso, Milei lancia le sue prime riforme shock. Con il DNU (Decreto de Necesidad y Urgencia), deregolarizza l’economia mettendo le basi per la privatizzazione di tutte le imprese statali. Tra le altre cose, colpisce anche il diritto a manifestare stabilendo il divieto di blocchi stradali e di intralciare l’economia e di richiesta di autorizzazione da parte del ministero della Sicurezza per le riunioni con più di tre persone.

Se in Argentina il futuro è buio, non butta bene nemmeno in Messico dove il presidente Lopez Obrador, al suo ultimo anno in carica, non perde occasione per orientare il suo governo sempre più a destra, tradendo il sogno di molti cittadini di costruire un paese diverso dopo i drammatici anni della “guerra al narco” promossa dai governi di destra. Prima di Natale, pubblica un contestato report nel quale “spariscono” quasi centomila desaparecidos, scatenando la rabbia dei familiari e delle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Senza vergogna, attacca pure una di queste, il Centro Prodh, lanciando gravissime accuse senza alcuna prova.


Sempre in Messico, la vigilia di Natale vede la partenza di una nuova carovana di migranti che si battezza “esodo dalla povertà”. Sono oltre dieci mila i migranti che partono dalla città-carcere di Tapachula diretti verso gli Stati Uniti. In pochi giorni percorrono a piedi quasi cento chilometri chiedendo alle autorità messicani di essere messi in regola e di poter procedere in sicurezza verso nord. Nel frattempo, mentre da una parte non aiuta i migranti, López Obrador si incontra con il Segretario di Stato americano Blinken per discutere insieme nuove misure di contenimento della sempre più crescente migrazione verso gli Stati Uniti.


Per concludere non si può non menzionare l’esperienza zapatista che, nonostante la quarta guerra mondiale che si sta abbattendo sulle comunità e su tutti i popoli, non smette mai di resistere, costruire l’autonomia e stupire. Con una serie di comunicati iniziati in ottobre, l’EZLN annuncia la ristrutturazione della propria amministrazione civile, pensata per resistere ai prossimi difficili anni, e lancia i festeggiamenti per i 30 anni dal levantamiento.

Quel primo gennaio di trent’anni fa, una piccola fiammella si è accesa in un mondo in drammatica decadenza. Quella fiammella oggi continua a riscaldare e a illuminare miles y miles di uomini e donne che in tutto il mondo costruiscono desde abajo e con il cuore, ognuno coi suoi tempi e nella sua geografia, un mondo che contenga molti mondi.
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