Intervista a Diego Hernández, giovane abitante della comunità di San Pablo de Amalí e avvocato in difesa dell’ambiente.
Nel mese di maggio, dopo una lunga battaglia durata quasi vent’anni, la piccola comunità di San Pablo de Amalí ha visto riconoscere, da parte del ministero dell’Ambiente, i suoi diritti sull’acqua del fiume Dulcepamba di fronte alla prepotenza e alla devastazione portata nel suo territorio dall’impresa idroelettrica Hidrotambo. A distanza di quasi sei mesi da quella storica sentenza però il ministero non ha ratificato la decisione, permettendo all’impresa di continuare indisturbata il proprio lavoro di produzione energetica ma soprattutto di utilizzo esclusivo dell’acqua del fiume Dulcepamba ledendo gravemente i diritti della comunità e mettendola in pericolo per le ripetute inondazioni provocate, in particolare nei mesi invernali.
«L’impresa idroelettrica non ha mai portato sviluppo, al contrario, l’unica cosa che ha fatto è stata generare molti danni» racconta Diego Hernández raggiunto in video chiamata per Global Project. Diego è un giovane abitante della piccola comunità di San Pablo de Amalí, il piccolo paesino ai piedi delle Ande ecuadoriane nella provincia di Bolívar teatro di questa storia di ingiustizia e resistenza. Fa l’avvocato e da diversi anni difende la sua terra e la sua comunità dai progetti estrattivisti dell’impresa Hidrotambo, una società idroelettrica che ha cambiato per sempre gli equilibri nel piccolo villaggio andino, costringendo gli abitanti non solo a vivere con la perenne paura delle inondazioni provocate dalla deviazione del fiume vicino al villaggio ma anche dovendo fare i conti con la scarsità di cibo (pesce) e acqua generata dall’impresa stessa.
«Io vivo qui da 27 anni - prosegue Diego - e ho potuto constatare il livello di violenza che ha portato questa impresa, generando impoverimento e divisione sociale. La nostra comunità ha poche risorse e vive prevalentemente della produzione agricola per il consumo. San Pablo non si è mai sviluppato e ha un alto indice di povertà, con un’alimentazione basica di prodotti della terra. Prima dell’arrivo di Hidrotambo vivevamo anche del prodotto della pesca mentre oggi per mangiare pesce dobbiamo andare a prenderlo in altre province».
Il problema per la comunità è la convivenza stessa con l’impresa idroelettrica: nel 2013, dopo alcuni anni di resistenza, Hidrotambo riprese i lavori della diga spostando il letto del fiume Dulcepamba più vicino al villaggio e mettendolo in pericolo di frane, smottamenti e inondazioni. Inondazioni che puntualmente arrivarono, provocando la morte di tre persone e la distruzione di numerose abitazioni e terreni comunitari nel 2015 e che si ripetono ogni inverno di anno in anno. Inoltre, con la diga in funzione, Hidrotambo ha iniziato ad utilizzare l’acqua del fiume illegalmente anche nei mesi in cui non avrebbe dovuto essere in attività. «Hidrotambo si oppone all’uso dell’acqua da parte degli abitanti: cinque milionari che possiedono la società hanno scatenato l’opposizione contro i contadini che vogliono utilizzarla per dare da bere agli animali o utilizzarla per i propri consumi».
Solo attraverso una resistenza determinata, la comunità è riuscita ad ottenere la sentenza del ministero dell’Ambiente di conversione della concessione: «la decisione di togliere l’acqua a Hidrotambo è stata qualcosa di storico - racconta ancora Diego - perché mai in Ecuador si è ottenuto qualcosa del genere. Noi ci siamo riusciti con la lotta, purtroppo però contro questa decisione Hidrotambo ha fatto appello perché la nostra azione legale non avrebbe rispettato i termini di legge. Un aspetto senz’altro importante, ma in una classifica di diritti l’estinzione della vita acquatica, il prosciugamento di un fiume, il pericolo per la popolazione che ogni inverno rischia di annegare per le piene del fiume, o di perdere case e terreni travolti dalle piene o la perdita della produzione agricola sono problemi ben più gravi, oltre al fatto che Hidrotambo si oppone all’utilizzo dell’acqua da parte della popolazione. Noi abbiamo denunciato tutto questo ai vari organismi istituzionali che tuttavia non hanno portato avanti le udienze facendo scadere i termini legali per ratificare l’annullamento della concessione che significherebbe il divieto ad Hidrotambo di utilizzare l’acqua del fiume Dulcepamba».
La battaglia legale con Hidrotambo è quindi ancora in piedi e la comunità è ancora in attesa di veder riconosciuti definitivamente i propri diritti. «Abbiamo differenti azioni legali, come ho già detto, l’annullamento è in appello e stiamo aspettando che il ministero dell’Ambiente ratifichi questa decisione. Ora siamo di fronte a due opzioni: che venga ratificata la decisione o che si ritorni a processare la domanda. Io credo che abbiamo buone possibilità di ottenere la ratificazione perché il ministero ha tutte le prove sufficienti per determinare quest’annullamento della concessione, vale a dire che la compagnia Hidrotambo rimanga senza la possibilità di utilizzare l’acqua. L’altra azione legale che abbiamo aperta è con la Corte Costituzionale: stiamo aspettando che ci convochino a un’udienza, stiamo domandando che si riconosca la violazione al diritto all’accesso all’acqua e alla vita dignitosa tra gli altri diritti violati».
A complicare il difficile cammino verso il riconoscimento dei diritti degli abitanti di San Pablo de Amalí si è messa anche la situazione del politica del Paese, con la crisi politica e le accuse di corruzione che hanno costretto il presidente conservatore Guillermo Lasso a ricorrere al meccanismo della “muerte cruzada”, con la quale ha sciolto il Parlamento e indetto elezioni anticipate. Elezioni anticipate che si sono svolte a fine agosto e che si sono rivelate un appuntamento “ecologista” importante per i contemporanei referendum su Yasuní e Chocó Andino, due ecosistemi in grave pericolo per i progetti estrattivisti a cui sono interessati. Diego è stato uno dei giovani che ha appoggiato l’organizzazione logistica della campagna nel cantone di Chillanes: «con poche risorse, avevamo 450 dollari a disposizione, siamo riusciti lo stesso a stampare volantini, fare murales, parlare coi giornalisti, dare visibilità al referendum».
Per Diego, la vittoria nel referendum popolare può aiutare molto la loro causa perché «è la prima volta che passa un referendum organizzato da collettivi e da cittadini e questo spalanca le porte a un utilizzo futuro di questo strumento, dandoci la possibilità di decidere sui nostri territori. Abbiamo visto infatti che il governo attuale non era d’accordo con questo referendum e molte volte non vuole accettare queste decisioni collettive». Sulla vittoria alle presidenziali di Noboa, rampollo di una famiglia di imprenditori guayaquileña, invece è più cauto: «mi lascia molti dubbi perché nonostante in campagna elettorale si sia espresso in favore del referendum, lo abbiamo poi sentito dire in diverse testate che vuole utilizzare altri metodi di sfruttamento per l’estrazione del petrolio, per le miniere o per i progetti idroelettrici. Vale a dire, appoggia lo Yasuní ma allo stesso tempo sta cercando altri metodi per sfruttare i territori».
Un governo, quello di Noboa, che in molti analisti definiscono la naturale continuazione di quello di Guillermo Lasso, interessato solamente a difendere i privilegi delle élite economiche e non a risolvere i gravi problemi economici e sociali che attanagliano il Paese da qualche anno. «È da cinquant’anni che ci mettono in testa l’importanza del settore petrolifero nonostante i grandi investitori e il governo, vale a dire coloro che contribuiscono a stipulare questi contratti, sono gli unici che ricavano benefici, ma la realtà del Paese è evidente: esiste povertà estrema, denutrizione e un grandissimo problema di insicurezza. Non si può uscire tranquilli in strada, non si può uscire a divertirsi perché i pericoli sono elevati e a un qualsiasi incrocio di una qualsiasi città ti puoi imbattere in una sparatoria. Qui nella nostra comunità è più tranquillo perché non ci sono organizzazioni criminali ma nelle città più grandi il livello di violenza è terribile. Speriamo che il governo e l’Asamblea Nacional riescano a trovare le migliori risposte per dare maggior tranquillità alla popolazione e per proteggere i diritti umani e quelli della natura».
A San Pablo de Amalí tuttavia non si guarda tanto al nuovo governo quanto alle future azioni da intraprendere. Sono passati attraverso vari governi di vari colori politici ed ora affronteranno con la consueta determinazione anche il governo di Noboa (che peraltro sarà breve dato che nel 2025 ci saranno le elezioni presidenziali): «Un punto chiave della nostra azione è continuare a lottare, sappiamo che dobbiamo continuare a mobilitarci esigendo giustizia e riparazione per il bacino del fiume Dulcepamba e per noi come esseri umani. Sappiamo che a livello legale dovremo batterci per ottenere una soluzione favorevole che riconosca la violazione dei nostri diritti e che freni le operazioni dell’impresa idroelettrica».
Sappiamo che non si arrenderanno. Perché per questa piccola grande comunità, lottare per l’acqua e per la propria terra significa lottare per la vita.
Foto di copertina: Misha Vallejo Prut
Pubblicato originariamente su Global Project