La città dell’eroina

Fuori un breve acquazzone estivo, un elicottero a sfiorare case e palazzoni per ore, 6 cani antidroga, 500 agenti. Il risultato dell’operazione San Michele contro lo spaccio di droga a Mestre è stato 28 arresti (su 41 richiesti dal giudice), 12 espulsioni, 4 daspo urbani, 3 negozi di alimentari etnici chiusi e 2 chili di stupefacenti sequestrati.  

Una volta Venezia era la città dei servizi alla persona sperimentali e innovativi: penso al progetto Riduzione del Danno, al progetto Free Woman Project, al Progetto Senza Dimora in cui anche io ho collaborato per molti anni. Tutti servizi che hanno permesso ai tossicodipendenti di non morire di overdose per strada, ai senza dimora di non morire di freddo durante le gelide notti invernali, alle prostitute di avere un aggancio per uscire dallo sfruttamento sessuale. Gli operatori di questi servizi a bassissima soglia li vedevi per strada, rincuorava sapere che le persone in difficoltà non erano abbandonate, avevano una seconda opportunità, erano seguite e accompagnate. E i risultati non erano “solo” vite salvate: le città, Venezia e Mestre, erano più sicure, più “pulite”, più decorose, per dirla con termini odiosi ma di gran moda in questi tempi oscuri. 

Ora per le strade e per le calli gli operatori sono spariti, sostituiti da un nugolo di agenti, vigili, polizia, carabinieri (perfino due sbirri cinesi girano a Venezia!). Fuori dalle mense per i poveri o nei parchi vicino alla stazione non ci sono più operatori ma pattuglie. Con gli operatori sono spariti anche la percezione di sicurezza e il decoro. Si racconta che alcuni quartieri delle nostre città siano il far west. Mestre è diventata la capitale della droga e vanta il triste primato nazionale di morti per overdose da eroina. Le città sono militarizzate, arrivando a Venezia ti accoglie l’esercito e una ridicola barricata antiterrorismo. Un decoro e una sicurezza che peggiorano giorno dopo giorno, retata dopo retata. 

Sono questi i “successi” della lotta alla droga di questa giunta oscurantista. Una lotta alla droga fatta solo di repressione che mi ricorda tanto la famigerata “guerra al narcos” messicana. Una guerra inventata dai potenti per il controllo sociale, delle risorse, dei territori. Una guerra che lungi dal sconfiggere i cartelli ha portato violenza, sparizioni forzate e morte nella vita di milioni di messicani. 

La giunta fucsia dell’imprenditore fattosi da sé ma con lo sfruttamento del lavoro altrui, ha prodotto tutto questo, distrutto un sistema di welfare all’avanguardia con le parole d’ordine “decoro e sicurezza” e chi l’ha votato (comunque per fortuna solo il 25% dei veneziani) non si rende conto che andrà da così a peggio. Che la 30ina di nigeriani arrestati saranno presto sostituiti che i fiumi di droga e denaro non si fermeranno certo perché un Brugnaro qualsiasi ha deciso che è così. É lo stesso procuratore capo Cherchi a ribadire un concetto fondamentale: «Sottolineo che questo intervento non risolverà il problema. Il problema dello spaccio non può essere risolto solo con strumenti di polizia giudiziaria e della magistratura, ma va anche affrontato con strumenti sociali». La lotta alla droga non è una questione di repressione, non può esserlo perché è un business mondiale che fa girare miliardi di euro. È una questione culturale e, qualsiasi operatore sociale sa, non si risolvono i problemi delle persone solo con la repressione. 

A chi ieri in strada piangeva di gioia, al parroco che suonava le campane per festeggiare la retata, invito a ripensare a cos’era la città prima dell’arrivo di mr #gheapodemofar: una città di servizi imprescindibili che non aveva paura. Perché la repressione è un grande inganno: fa credere di risolvere i problemi ma non elimina i motivi per cui sorgono tali problemi. E al tempo stesso fa vivere nel terrore, abituando tutti a essere sotto controllo e facendoci perdere poco a poco, una delle cose più preziose che abbiamo: la libertà. 

E allora, quando le istituzioni utilizzano solo ed esclusivamente la repressione non stanno facendo il bene di tutti i cittadini, ma solo di sé stessi e delle élite che rappresentano.

Photo credit: Giulia Candussi, La Nuova di Venezia e Mestre
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