C'era una volta San Cristobal

Chi ha visto e vissuto San Cristobal, anche solo pochi anni fa, travolto dall'emozione della rivoluzione zapatista del 1994, potrebbe rimanere profondamente deluso visitandola oggi. Quella San Cristobal emanava rebeldía, cultura, storia, voglia di cambiamento e volontà di riuscirci; chi ci arrivava si sentiva accolto da una pluralità di culture giunte fino a lì per far parte della rivoluzione e le persone che si incontravano per le sue strade, non ancora pedonali, erano quasi sempre interessanti e interessate a ciò che succedeva nel mondo: si respirava zapatismo a pieni polmoni.

La San Cristobal di oggi, invece, è una città assediata dalla ferocia del turismo di massa (a prima vista prevalentemente della "messico bene"), che si riversa per le vie del centro alla ricerca di amenità e gadget ricordo a dir poco imbarazzanti e per nulla inerenti all'artigianato e alla cultura originaria, di locali alla moda dove spendere soldi in quantità per una pizza italianissima, un asado argentinissimo o perfino una riquisima comida libanese o coreana. Tutte queste cose, che poco hanno a che fare con la tradizione chiapaneca, sono giunte fino a lì per soddisfare la richiesta di un turismo sempre più opprimente; così come i veggie restaurant,  spuntati come funghi a discapito della vera cucina messicana: una taqueria "ruspante" è ormai introvabile per le vie del centro. È così che gli andador turistici di recentissima costruzione, verso l'imbrunire sono presi d'assalto dalla folla, tanto che pare di essere nelle strette calli veneziane che patiscono lo stesso problema durante l'alta stagione (e ormai non solo durante quella). Questi imbuti, quasi invalicabili ad orario aperitivo, sono il cuore, pulsante dinero, della città. Ad occuparne il suolo, ci puoi trovare centinaia di musicisti che si fermano davanti a ogni locale a fare due o tre cover in fretta, e a raccogliere la propina per scappare poi al successivo luogo di esibizione; ma ci sono anche gli indigeni che dispongono la loro mercanzia non-artigianale per terra o rincorrono i turisti proponendogli qualsiasi cosa possa essere scambiato per souvenir e, soprattutto, decine di perroflautas con le loro collanine autoprodotte, attratti dalle sirene della città che promette, e permette, di vivere svangandola senza troppo sacrificio.

La chiesa di Santo Domingo è interamente circondata e ormai nascosta dai tendoni bianchi che ricoprono le bancarelle del mercato dell'artigianato; un mercato sempre più grande, sempre meno colorato, sempre meno interessante: negli ultimi anni ha perso pure tutto il materiale relativo a quella grande esperienza politica e sociale che è lo zapatismo, forse perché, i numerosi commercianti del mercato tanto zapatisti non lo sono e, passata la moda, passate pure le magliette con la faccia di Marcos (tanto più che ora si fa chiamare Galeano); e se anche il mio amico Abigail, artigiano che con la sua famiglia produce e vende amache da sempre, si adatta a smerciare prodotti cinesi perché "estos quieren los gringos", forse siamo davvero arrivati al punto di non ritorno. 
Se si vuole rimanere nel centro senza usufruire degli andador si rischia di rimanere intossicati dallo smog provocato dal traffico incredibile che circonda le strade del centro in un labirintico senso unico e che ricorda tanto il traffico e la puzza di benzina bruciata di Città del Messico. 

Una città ricca dunque? Forse. Intanto, chi arriva fin qui e si cerca un lavoro per fermarsi qualche mese, finisce a lavorare nei bar e ristoranti del centro per poco più di 50 centesimi di euro all'ora. Chi lavora negli ostelli, di solito ragazze e ragazzi del posto, non guadagna tanto di più, anzi. Insomma anche qui, la redistribuzione della ricchezza è praticamente nulla, i soldi sono in mano quasi sempre ai facoltosi stranieri che acquistano terreni ed edifici per farci ostelli, bar, ristoranti alla moda. Il fatto è che questa città dal passato recente così ideologicamente simbolo dei rivoluzionari terzomondisti è oggi preda del capitalismo più sfrenato che le sta rubando la sua anima. 

Per fortuna però, esistono ancora sacche di resistenza che si ostinano a custodire quell'anima pura e ribelle. Se si è accorti, e non ci si fa distrarre dalle luci e dai rumori assordanti della città, si possono ancora scovare angoli liberati e in resistenza, come la libreria "La Cosecha", che oltre a produrre, esporre e vendere libri è attiva nel proporre attività culturali interessanti. A fianco di queste piccole attività libere e ribelli esistono e resistono gli zapatisti. Dal centro di San Cristobal forse è difficile accorgersi della loro presenza concreta e attuale, quasi fossero solo una piccola parentesi romantica di un passato lontano nel tempo; ciò nondimeno chi è capace di guardare al di là della facciata capitalista della città potrà scorgere un mondo nuovo in costruzione, un mondo dove non c'è spazio per i soldi, per gli affari, per lo sfruttamento delle persone e la devastazione del territorio, dove al centro ci sono le persone, le emozioni, i diritti, la terra. Un mondo che contiene molti mondi e che presto o tardi porterà il sole dove ora regna la tempesta.
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